RIVISTA ITALIANA DIFESA
Il volto saddamita di ISIL 16/11/2015 | Pietro Batacchi

ISIL è un'organizzazione strutturata su 3 livelli. Il livello politico, quello militare ed il livello amministrativo/sociale. In questo non c'è grande differenza con altre realtà quali, per esempio, Hezbollah o Hamas, anche se nel suo complesso ISIL presenta una struttura forse meno sofisticata e più flessibile. Al vertice c'è il leader dell'organizzazione, nonché Califfo, Abu Omar Al Baghdadi, affiancato da un Consiglio ristretto che ha accesso diretto alla sua persona. Il Consiglio è diretto dai 2 vice di Baghdadi: Abu Ali al-Anbari, ex Generale dell'Esercito saddamita, e Abu Muslim al-Turkmani, ex ufficiale del Mukabarat (l'intelligence) di Saddam, ucciso in un raid americano e adesso sostituito probabilmente da un altro ex saddamita. A queste 2 figure è delegata la gestione di tutti gli aspetti militari, politici, mediatici ed amministrativi in Siria ed Iraq. Dal Consiglio dipende l'efficientissimo dipartimento mediatico che ha il compito di coordinare tutte le attività propagandistiche del gruppo finalizzate alla veicolazione del marchio ISIL/IS per reclutare sistematicamente nuove reclute, attirare nuove donazioni e renderlo appetibile per gruppi locali che vogliono adottarlo in franchising (come accade in Libia o nel Sinai, per esempio). Fondamentale, per il dipartimento mediatico, è la differenziazione del marchio ISIL rispetto a quella di Al Qaeda. Sempre al Consiglio fanno capo i governatori delle “provincie” controllate dal gruppo in Iraq e Siria ed il Gabinetto di Guerra, guidato fino a novembre 2014 da Abu Aymana Al Iraqi, un altro ex Colonnello dell'Esercito di Saddam, responsabile per la gestione delle attività militari e per il coordinamento del dipartimento per le operazioni all'estero. Come abbiamo visto buona parte della leadership del Califfato è composta da ex appartenenti al regime di Saddam, ma la stessa cosa accade anche per i quadri intermedi. Quella di aprire l'allora ISI (Islamic State in Iraq) ai baathisti è stata una scelta deliberata compiuta da Abu Bakr al Baghdadi nel 2010, quando egli prese la leadership del gruppo per rimpiazzare il predecessore Abu Omar Al Baghdadi ucciso in un raid americano. In quel momento ISI, così nel 2006 aveva già cambiato nome Al Qaeda in Iraq (AQI), era un'organizzazione moribonda sconfitta dal surge del Generale Petraeus e dall'alleanza tra gli Americani e i Consigli del Risveglio sunniti. Tuttavia, il ritiro americano e la stretta settaria dell'ex Premier Al Maliki, che promosse nel 2011 una nuova ondata di deebhatificazione, rimise all'angolo i sunniti che non aveano altra scelta se non quella di entrare in ISI o costituire nuovi gruppi per tornare a combattere contro Baghdad. In questo modo, ISI ha trovato improvvisamente nuova vita e nuovi adepti: tutte persone militarmente preparate, che avevo ricoperto ruoli a vari livelli nelle Forze Armate e di sicurezza irachene sotto Saddam, con il quale ricostituire la propria ossatura smantellata da Petraeus. Da quel momento, ISI ha puntato apertamente alla ri/creazione di uno stato sunnita in Iraq. Ma per raggiungere questo obbiettivo occorrevano 2 risorse. Truppe e fondi. Risorse per ottenere le quali bisognava prima di tutto creare un'alternativa ad Al Qaeda il cui marchio e prestigio nel mondo jijadista creava nei fatti un ostacolo ai propri piani finanziari e organizzativi. E' in questo contesto che nasce la competizione tra ISI, e poi ISIL, e Al Qaeda. Differenziare il marchio, dunque, avrebbe portato ad un incremento di reclute e fondi con l'aumento delle infusioni di denaro da parte dei ricchi donatori del Golfo interessati a finanziare la causa dell'Islam radicale. Ma solo le donazioni non sarebbero bastate, ecco perché nel 2013 ISI, di nuovo forte, decide di irrompere nel conflitto siriano ridenominandosi ISIL (Stato Islamico in Iraq e nel Levante). La Siria nord-occidentale, infatti, secondo il disegno della leadership del gruppo, sarebbe servita come retroterra logistico delll'Iraq e, soprattutto, come area grazie alla quale garantirsi il sostentamento mediante lo sfruttamento dei pozzi petroliferi lì localizzati. Il petrolio, oltretutto, è sempre stato una fonte di insicurezza della comunità sunnita irachena considerando che la maggior parte delle ricchezze petrolifere dell'Iraq si trovano nel sud sciita e nel nord curdo. Dietro questo disegno c'è evidentemente un pezzo significativo di quello che fu lo Stato iracheno di Saddam, il più strutturato e organizzato di tutto il Medioriente, sciolto per legge nel 2003 da Paul Bremer ed improvvisamente ritrovatosi senza futuro e messo all'angolo dall'”iranianizzazione” dell'Iraq. Sono gli ex ufficiali di Saddam che gestiscono e coordinano le operazioni militari, che curano la propaganda del gruppo e che hanno messo a disposizione del gruppo i propri contatti a livello internazionale. Il contrabbando del petrolio praticato in Siria da ISIL si avvale proprio di quell'estesa rete messa in piedi dai saddamiti per aggirare l'embargo all'Iraq tra il 1991 ed il 2003. Le reclute, o la truppa se si preferisce, del Califfato non sono neanche a conoscenza dell'esistenza di questa struttura, che, nei fatti, le utilizza come “carne da cannone”. Peraltro, la stessa truppa è composta in buona parte da ceceni e asiatici, che combattono più per soldi che per ideologia, e da molti europei che per la gran parte vivono in condizioni di marginalità nelle nostre metropoli e che vengono attirati dall'aggressiva propaganda del gruppo (rivolta soprattutto a loro) rispetto alla quale, operazioni come quella di Parigi, sono straordinariamente funzionali.


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