RIVISTA ITALIANA DIFESA
“E l’aereo lo pago io!”, Parenzo 11/11/2015 | Enrico Cernuschi

Acque di Parenzo, in Istria, alba dell'8 novembre 1916. Nebbia fitta. Il freddo e l'umidità penetrano nelle ossa attraverso le giacche di cuoio. Lucide d'acqua e foderate d'agnello. Di navi austro-ungariche, al solito, non c'è traccia. In Alto Adriatico è dal 24 maggio del 1915 che non si fanno vedere di giorno. Il dominio del mare è assoluto da parte italiana. Ci sono stati, fino a quel momento, soltanto 4 brevi scontri a fuoco tra le nostre torpediniere e i loro dragamine, tutti nel Golfo di Trieste e conclusi col l'affondamento di un paio di piccole unità e di pontoni della k. (u.) k. Kriegsmarine. Piccola guerra. Di notte è diverso. Gli austro-ungarici escono protetti dall'oscurità, attraversano veloci l'Adriatico, bombardano brevemente qualche località costiera in Romagna o nelle Marche priva di difese e si ritirano. Per 6 volte sono stati intercettati dai caccia e dalle torpediniere italiane, ma sono casi rari. Ormai è giorno, anche se non si vede pressoché nulla, e la missione è semplice. Guidare, dal mare, 8 idrovolanti, 3 dei quali francesi, inviati a bombardare Parenzo. Due squadriglie di torpediniere della Regia Marina, appoggiate dai caccia Nullo e Missori, formano una sorta di freccia nel mare per indicare agli aerei dove andare. Tutto ciò è molto primordiale, ma né gli idro né le torpediniere hanno la radio. Solo i due caccia sono abbastanza grossi da imbarcare una stazione R.T.

Gli aerei italiani e francesi arrivano e bombardano l'idroscalo di Parenzo. La reazione non si fa attendere. Quattro idro Lohner di pattuglia sganciano una ventina di bombe contro le torpediniere italiane e poi attaccano i velivoli avversari. Le navi se la cavano senza danni, ma un FBA francese, raggiunto al motore, è costretto ad ammarrare. Interviene la torpediniera serrafila della formazione, la 9 PN del capitano di corvetta Domenico Cavagnari.

Ottimo marinaio dal pessimo carattere e di bassa statura, Cavagnari si è già distinto una settimana prima, quando ha abbassato nottetempo, con la sua piccola nave da 120 tonnellate, le ostruzioni che proteggono il Canale di Fasana permettendo così al MAS 20 del comandante Ildebrando Goiran di silurare, in mancanza di altri bersagli, la vecchia nave guardaporto Mars. Le armi non sono esplose e l'unità austro-ungarica se l'è cavata con due piccole vie d'acqua. Cavagnari è rimasto sotto le ostruzioni per tutto il tempo e ha recuperato il MAS tornando, infine, alla base. Una medaglia d'argento (la seconda) è in corso di concessione motu proprio da parte del re.

Oggi è diverso. Si recuperano i francesi e si dà corso al rimorchio dell'idrovolante. Le altre unità italiane sono già distanti, da qualche parte nella nebbia, dopo l'attacco aereo di poco prima. La 9 PN procede, a questo punto, a velocità forzatamente ridotta scadendo ancora di più, quando appare una traccia di sole attraverso la nebbia. E si vedono pure 3 torpediniere austriache che mettono subito la prora su quella facile preda. Le distanze si riducono rapidamente e ben presto si leggono i numeri arabi dipinti sui masconi di prora: 1, 2 e 4. Sono moderne unità sottili equivalenti alla 9 PN. I 29 marinai della silurante italiana aspettano l'ordine di mollare il rimorchio e di allontanarsi a tutta velocità. Cavagnari, viceversa, tace. Siamo a meno di 5.000 metri; appena si arriverà a 3.000 il solitario pezzo da 57 mm della torpediniera dovrà iniziare il duello coi sei cannoni da 47 mm delle navi avversarie. 4.000, 3.000 e poi, improvvisamente, le unità sottili asburgiche accostano in fuori e si portano sotto le batterie di Parenzo. Diranno, in seguito, in sede di rapporto, che la nave italiana era il Quarto, di 3.300 tonnellate.

Il rimorchio continua e la 9 PN arriva, nel pomeriggio, a Venezia con il suo aereo al guinzaglio, intatto a parte una pallottola che ha tranciato l'alimentazione della benzina, e coi suoi due piloti ancora increduli. La notizia, subito diramata dalle voci di prora, è che il piccolo capitano di corvetta abbia detto agli aviatori "J'ai refusé da payer l'avion, voilà c'est tout". E' una leggenda, ma la tirchieria di Cavagnari è parimenti proverbiale. Genovese più dei genovesi, Mingo, come è soprannominato (da Domenico) sin dai tempi dell'Accademia, è scapolo, ma non conduce certo la vita brillante di diversi suoi colleghi a Venezia e, soprattutto, al Lido. Figlio di un piccolo farmacista manda tutto a casa, indossa sempre l'uniforme, calza solo scarpe militari e pensa unicamente al servizio. Uniche debolezze conosciute, il gusto per la cioccolata e per lo sfogio, la sogliola cotta a vapore di un'osteria vicino al ponte degli Scalzi. Tutti lo giudicano tirchio; in realtà manda i soldi (lo stipendio, come riporta il foglio matricolare, ammonta a lire 5.000 annue, poche anche per l'epoca) a una sorella invalida e si arrangia per il resto.

La sera dell'8 novembre il problema, però, è un altro. L'ammiraglio Paolo Thaon di Revel, Comandante in capo dell'Alto Adriatico e della piazza di Venezia, l'ha convocato seduta stante. Rischiare una torpediniera, con 30 uomini e che costa 100.000 lire, per un aereo vuoto che ne vale meno di 1.000! La celebre dottrina del rischio calcolato di Thaon di Revel è stata violata in pieno da quel capitano di corvetta così presuntuoso. Peggio per lui!, è il pensiero della maggioranza Eroe o non eroe, questa volta la paga per tutte, incluso un certo giro mancato di bicchierini. Come risulta dalle annotazioni fatte da Cavagnari e scritte sul bordo di una pagina della Rivista Marittima, molti anni dopo, il colloquio partì subito male.

Il giovane ufficiale genovese, però, non fu da meno dell'ammiraglio. Replicò, infatti, osservando che la storia "dell'aereo lo pago io" è una sciocchezza e che ha agito scientemente per arrivare, finalmente, a uno scontro con quel nemico così sfuggente. A tagliare il rimorchio si faceva sempre a tempo. Quanto al cannone e ai siluri se la sarebbe vista lui. Le altre unità italiane erano ancora a portata acustica, da qualche parte nella nebbia, e sarebbero tosto arrivate, guidate dalle esplosioni delle granate, tagliando così fuori il nemico dalla propria base. "Ero spendibile", scriverà per sé solo, "e la gente e l'Italia tutta avevano bisogno di una vittoria in mare". Thaon de Revel rimase colpito da quel giovane ufficiale impertinente. Il 22 gennaio 1917 lo nominò comandante in seconda della Difesa Militare Marittima di Venezia. Lo rimandò in seguito mare, dietro insistenza dell'interessato, nel 1918. Capo di gabinetto di Thaon di Revel, ora Ministro della Marina, tra il 1922 e il 1925, comandante dell'Accademia nel 1929, sottosegretario e capo di Stato Maggiore della Marina tra il 1933 e il 1940, Cavagnari fu il padre della "Grande Marina" degli anni Trenta e Quaranta. Si sposò, nel 1938, con quella stessa ragazza di un tempo che gli preparava lo sfogio a Venezia, vent'anni prima, e che gli lavava pure le camice. Per risparmiare, naturalmente.


Condividi su:  
    
News Forze Armate
COMUNICATI STAMPA AZIENDE