Il Mediterraneo sembra tornare indietro di 30 anni: quando alle già vivaci crisi regionali degli anni ‘80 (si pensi alle ambizioni gheddafiane sulla Sirte e nel Sahel, o alla guerra in Libano, non meno violenta e caotica di quella attualmente in corso in Siria – e con altrettanti players esterni a muoverne i fili) si univa la minaccia dell’orso russo, all’epoca ancora “rosso”. Sta di fatto che la grande esercitazione NATO denominata TRIDENT JUNCTURE 2015 (TJ-15), entrata nel vivo con la fase “livex” (che terminerà il 6 novembre) nei giorni scorsi, dopo una lunga preparazione preliminare dedicata a testarne il “comando e controllo”, ha davvero riportato indietro l’orologio. In primis, perché da almeno un decennio non si vedevano scendere in un campo di battaglia virtuale questi “numeri”: più di 36.000 uomini, 140 tra aerei ed elicotteri, e una sessantina di unità navali, provenienti da 27 paesi dell’Alleanza. Uno sforzo notevole, tenendo conto che le flotte NATO stanno svolgendo da alcune settimane esercitazioni aeronavali anche nelle acque del Nord Europa. Ad ospitare questa “Armada”, Italia, Spagna e Portogallo, che hanno messo a disposizione 16 basi militari: nel dettaglio, Roma partecipa con le aerobasi di Trapani-Birgi, Decimomannu e il centro di comando di Poggio Renatico, mentre un ruolo fondamentale è svolto dal NATO Allied Joint Force Command di Napoli. Il secondo punto di interesse è lo scenario, decisamente meno asimmetrico di quelli testati nell’ultimo decennio, e molto più ibrido con un occhio a quanto accaduto a partire dal 2014 in Ucraina. E non si può non pensare alle ambizioni geopolitiche, regionali e non, del Cremlino, nell’osservare la partita a scacchi giocata con TRIDENT JUNCTURE. L’immaginario teatro bellico è la regione di “East Cerasia”, somigliante a quel Corno d’Africa di fronte al quale si sta combattendo un conflitto interno (quello yemenita) ormai allargatosi a diversi stati arabi – non a caso all’esercitazione partecipano osservatori anche della Lega Araba -, dove una potenza regionale minaccia uno o più piccoli stati confinanti. Su mandato ONU, e in base all’articolo 5 del proprio statuto, alla NATO è demandato il compito di intervenire: lo scenario bellico prevede un mix di minacce simmetriche portate dall’apparato bellico tradizionale dello stato aggressore, e di tipo più asimmetrico o ibrido, con la presenza di gruppi terroristici, milizie armate di insorgenti, anche a connotazione etnica e religiosa; il tutto intrecciato a forti interessi economici legati alla presenza di fonti energetiche di importanza strategica. Lo strumento che l’Alleanza deve dispiegare (e testare con TJ-15), per difendere i paesi minacciati, assicurare la libertà di navigazione, e difendere il libero accesso a fonti energetiche, è la nuova NATO Response Force (NFR), rafforzata e rimodulata dopo il vertice in Galles dell'autunno 2014. In quest'ottica, l'esercitazione serve a certificarel'Allied Joint Force Command di Brunssumcome struttura di comando in grado di gestire la NRF per tutto il 2016 in caso di attivazione e per testare la Very High Readiness Joint Task Force; la “spada” della NFR, destinata a divenire operativa entro il 2016. Quest'ultima è una forza di livello brigata ad altissima prontezza capace di intervenire in 48 ore per fronteggiare qualunque situazione di crisi. Da qui, la particolare attenzione prestata agli assetti ad alta mobilità strategica, che coinvolge in varia maniera anche altre attività addestrative concomitanti, come la Brigata FOLGORE (che già impiega un reggimento nella TJ-15), con l’esercitazione MANGUSTA, dove vengono dispiegati 900 parà italiani e 120 “colleghi” della 173rd Airborne Brigade di Vicenza. L’obbiettivo è quello di fronteggiare entro un massimo di 48 ore una minaccia portata anche da un aggressore bene armato, in un teatro a lunga distanza dalle basi NATO. A questo vero e proprio “ritorno al futuro”, si aggiungono tuttavia novità più tipiche dell’era globalizzata: ad esempio, sono state chiamate a partecipare in qualità di osservatori anche le principali realtà industriali della Difesa occidentali, per avviare una collaborazione sul campo che miri a creare un più stretto legame tra le innovazioni tecnologiche progettate e le reali necessità di scenari complessi ed evoluti.