Esattamente 40 anni fa, il 19 gennaio 1974, truppe della Repubblica Popolare Cinese prendevano il controllo dell’arcipelago delle Paracel dopo una breve ma violentissima battaglia navale (l’ultima combattuta unicamente con cannoni) con una flottiglia sudvietnamita. L’anno scorso, d’altra parte, era già caduto il 25° anniversario dello scontro navale delle Spratly, avvenuto nel marzo 1988 tra una flottiglia cinese e una formazione vietnamita. Il fatto che, all’epoca, il Vietnam fosse ormai unito da 13 anni sotto un regime comunista poco importava a Pechino. Marx non si è particolarmente dilungato in merito ai problemi del Sea Power, mentre i suoi più pragmatici eredi installatisi alla guida dell’ex Celeste Impero, da tempo hanno formulato i loro piani in materia di potere marittimo. Ispirati all’antico amore per la poesia, che unisce i mandarini dei tempi che furono ai grigi burocrati dell’apparato di partito, i leader di Pechino hanno forgiato una suggestiva immagine (“filo di perle”) per veicolare la strategia economica, politica e marittima della Repubblica Popolare Cinese per il XXI secolo. Ma le cannonate sparate per le Paracel (dal 1974 unite alla provincia di Hainan col nome di Xīshā) e per una porzione delle Spratly alla fine del 20° secolo, sottolineano come nel guanto di velluto ci sia un pugno di ferro che, dagli anni ’90, si è concretizzato in un rapido rinnovamento della PLAN (People’s Liberation Army Navy). Un processo che sta trasformando una forza che sino al 1980 era prevalentemente orientata alla difesa costiera, in una flotta alturiera, composta da una linea di grandi unità di scorta, tipo fregate e cacciatorpediniere dalle caratteristiche sempre più avanzate, una robusta forza anfibia in fase di espansione (anche grazie all’entrata in servizio di moderne LPD, e la pianificazione per un loro sviluppo “tuttoponte”), e la crescita della componente aeronavale, con base a terra e, dopo la consegna della portaerei LIAONING nel 2012, imbarcata. Unità in grado di esercitare una crescente capacità di proiezione “from the Sea” a lungo raggio, integrata dal rinnovamento della flotta subacquea, comprendente una seconda generazione di battelli nucleari d’attacco e lanciamissili. L’obbiettivo a medio-lungo termine è la creazione di 3 gruppi aeronavali, con la costruzione di 4 portaerei sfruttando, in tal senso, l’esperienza maturata nella ricostruzione della LIAONING(un’ex portaerei varata dai sovietici negli anni ’80). Strumenti perfetti per affrontare una serie di contenziosi che riguardano, soprattutto, il controllo degli spazi aeromarittimi nel Mar Cinese e adiacenti, considerati da Pechino alla stregua di aree di influenza, di sfruttamento delle risorse e di difesa avanzata.
Paracel e Spratly sono nomi che da tempo fanno squillare i campanelli d’allarme nelle cancellerie, asiatiche e non. Raffreddatesi negli anni ’90 le tensioni col Vietnam, si sono moltiplicati incidenti e crisi con Filippine, Indonesia, Malaysia, innescando una corsa al riarmo che ha interessato soprattutto gli assetti navali, anfibi e aerei, anche se periodicamente (l’ultima volta nel 2011) vengono firmati accordi bi e multilaterali per risolvere i contenziosi in via diplomatica. La scoperta e il crescente sfruttamento di giacimenti offshore di idrocarburi (alcune stime paragonano le loro potenzialità alle capacità produttive del Kuwait), unite al controllo delle linee del traffico commerciale che intersecano l’area contesa, non facilitano le cose. Ad esse si aggiungono, inoltre, attività ittiche sempre più aggressive che, negli ultimi anni, hanno causato nuovi incidenti. A complicare la partita esiste la sfida a lungo temine avviata tra Pechino e Washington (che negli ultimi anni ha varato una politica di contenimento della Cina, rafforzando la propria presenza militare nella regione, a partire dai nuovi accordi con l’Australia, e rilanciando quelli con le Filippine), e l’inserimento di un terzo player di dimensioni sovra-regionali, l’India, che dal 2011 invia navi da guerra ai limiti del perimetro di controllo marittimo cinese, per esercitazioni con le marine di Vietnam e Filippine, cui potrebbero venire cedute unità dismesse.
Pechino ha reagito avviando missioni di controllo delle isole contese con l’impiego di UAV e creando la prefettura di Sansha (24 luglio 2012), dopo aver costruito un palazzo del governo a Yongxing. Già capoluogo delle Paracel, e quartier generale della guarnigione, Sansha ha giurisdizione anche sulle Spratly.
I due arcipelaghi del Mar Cinese meridionale non sono, tuttavia, l’unica disputa che coinvolge le nazioni del sud-est asiatico. Confini marittimi e ZEE si intrecciano e si sovrappongono, innescando potenziali conflitti anche tra Indonesia, Cina e Taiwan per le isole Natuna (a sudovest delle Spratly) e lungo lo stretto di Luzon. Le isole Dongsha, invece, rappresentano un subfronte nel vecchio conflitto “interno” tra Pechino e Taipei, mentre Cina e Corea del Sud si disputano lo scoglio di Socotra, nel Mar Cinese orientale.
Ma a far correre i brividi più recenti a più di un diplomatico, è stato l’acuirsi del contenzioso sino-giapponese per le Senkaku, altro arcipelago di isolette rocciose in apparenza senza valore, che stanno alimentando una crisi in cui, tra l’altro, si è inserita Taiwan, concorde con Pechino nel ritenere cinese quel territorio. Anche in questo caso a prevalere è l’intreccio tra nazionalismi di ritorno (in regioni dove “salvare la faccia” è fondamentale quasi quanto non turbare gli equilibri economici e commerciali), potenzialità legate alla presenza di giacimenti di idrocarburi sottomarini e la tutela di strategici choke point marittimi. Di fatto, le Senkaku sono territorio nipponico dal 1879, e nel 1972 gli Stati Uniti le hanno restituite al Giappone dopo 27 anni di occupazione. La disputa risale a secoli prima, ed è tornata ad avvelenare i rapporti tra Tokyo e Pechino in occasione del 100° anniversario della guerra sino-giapponese del 1894-1895, che sancì il predominio navale del Sol Levante in quelle acque. Dal 1996 si sono registrati i primi sconfinamenti, prima di “attivisti” cinesi, poi di guardacoste e pescherecci, innescando diversi incidenti. Dal 2010 la presenza di unità delle guardie costiere nipponica e cinese si sono fatte costanti, con ripetute manovre simulanti speronamenti e azioni di contenimento contro pescatori o attivisti troppo aggressivi. Nel 2013, tuttavia, la crisi navale ha assunto connotazioni più drammatiche. Pianificando il budget perla Difesa, il nuovo governo conservatore giapponese, guidato dal “falco” Shinzo Abe, ha invertito la tendenza, aumentando gli stanziamenti per favorire un deciso riarmo e con non poche voci (potenziamento della flotta, delle capacità d’attacco aereo e di proiezione anfibia) legate alla crisi conla Cina. Nel dicembre 2013 anche Seul ha varato alcuni programmi di potenziamento militare, compresa una seconda tranche di 3 caccia AAW tipo KDX-III.
Pechino, che pure ha annunciato nella seduta annuale del Congresso del Popolo di marzo una crescita del 12,2% del suo budget militare (per 132 miliardi di dollari – anche se stime occidentali parlano di 150 miliardi complessivi, considerando le voci “coperte” o il dual use), ha reagito, in un primo momento, inviando in zona aerei e navi da guerra, che non hanno esitato ad agganciare coi radar di tiro le unità nipponiche (gesto che, tra l’altro, impone a chi lo compie di “scoprire” le proprie capacità elettroniche, fornendo all’avversario dati importanti). La seconda mossa di Pechino è stata la creazione, il 26 novembre 2013, della East China Sea Air Defense Identification Zone, che va a sovrapporsi ai territori contesi delle Senkaku e Socotra Rock. Da quel momento la zona è stata costantemente sorvolata da aerei da combattimento e ricognizione cinesi, sudcoreani, nipponici e americani, compresi i minacciosi (a dispetto della veneranda età) B-52. Per contrastare il clima da Guerra Fredda venutosi a creare, Pechino, ai primi di gennaio, ha messo in campo, accanto ai soliti pescherecci fuori rotta, attivisti volanti su…mongolfiere, finite in mare prima di atterrare. La speranza è che la farsa prevalga sul tintinnio di sciabole.