Più che un negoziato, quello in corso sull’Ucraina pare una grande messa in scena, una rappresentazione teatrale ad uso e consumo delle narrative dei 2 campi avversi; narrative il cui obiettivo è, da una parte, mantenere saldo il fronte interno, e, dall’altra, blandire Trump. E così anche l’incontro di Mar-a-Lago tra Zelensky e l’inquilino della Casa Bianca non è stato altro che un nuovo atto di questa rappresentazione teatrale. Peraltro, subito dopo l’incontro è arrivata la notizia del presunto attacco di droni ucraini ad una delle residenze di Putin. Probabilmente si tratta di una fake, anche perché, come sottolineato pure da una parte degli stessi blog russi che seguono la guerra, il numero e le rotte dei droni ucraini che hanno attaccato obiettivi in Russia nella notte tra il 28 ed il 29 dicembre non sono compatibili con il raid in questione.
Poco importa: Mosca, che ha annunciato la rappresaglia, ha mobilitato subito i suoi canali per annunciare la revisione della sua posizione al tavolo negoziale. Insomma, al Cremlino hanno poca voglia di fare, adesso, un accordo. Si sa. Le truppe russe avanzano, lentamente ma avanzano: Siversk è presa, e ormai pure Myrnohrad, mentre anche ad Huljajpole la situazione per gli Ucraini è difficile. Putin vuole portare a casa quanto più terreno possibile sfruttando una finestra ritenuta ancora favorevole e la tradizionale resilienza russa nelle guerre di attrito.
Nel campo avverso, checchè se ne dica, anche Zelensky non freme per fare un accordo. Il Presidente ucraino cerca di allungare il brodo, per non perdere completamente il sostegno americano, ed intanto incassa il supporto finanziario europeo: si può andare avanti. Del resto il fronte politico interno è molto insidioso, se non proprio minaccioso. Firmare un accordo in cui si rinuncia sostanzialmente ad un pezzo di Ucraina, un pezzo peraltro molto ricco e importante, metterebbe Zelensky veramente a rischio. Le ombre del Generale Zaluzhny, da Londra si allungano sinistre su Kiev e l’opposizione, più o meno legata all’ex Presidente Poroshenko, ha rialzato la testa. E non dimentichaimo poi gli strascichi dello scandalo corruzione e quel problemino, mai risolto, anzi cresciuto nel tempo, con l’estrema destra. Il 1° Corpo Azov della Guardia Nazionale, comandato dall’eroe della resistenza di Mariupol Denys Prokopenko, e il 3° Corpo dell’Esercito, comandato dal suprematista bianco Andrei Biletsky, hanno visto negli ultimi tempi crescere il loro prestigio e la loro influenza. Quando al fronte c’è una situazione critica, arrivano loro. Come prenderebbero questi signori, irriducibilmente anti-Mosca, un accordo con i Russi in cui nero su bianco si rinuncia ad un pezzo della madre patria?
Insomma, la situazione è ingarbugliata, e non poco, e pure a Washington regna il caos: da una parte, il clan di Trump, dall’altra, pezzi importanti del Congresso e delle 2 grandi burocrazie, Dipartimento di Stato e Pentagono. Per di più si avvicinano le elezioni di mid-term, nelle quali potrebbero riprendere quota i Dem. Le condizioni per un 2026 di guerra in Ucraina ci sono tutte.
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