RIVISTA ITALIANA DIFESA
Al CASD il primo Defence Summit italiano 05/12/2025 | Andrea Mottola

Al Defence Summit promosso dall’Istituto Affari Internazionali e dal Sole 24 Ore, con la collaborazione del CASD, l’Italia della Difesa – istituzioni, industria e Forze Armate – si è confrontata su un quadro strategico che non ammette più ritardi. Il convegno, svoltosi il 4 dicembre presso il CASD, ha offerto un quadro esauriente delle trasformazioni in corso nel settore della difesa italiano ed europeo. La discussione tra vertici militari, rappresentanti dell’industria e analisti ha messo in luce non solo la profondità dei mutamenti tecnologici in atto, ma soprattutto la necessità di un ripensamento complessivo dei modelli organizzativi, produttivi e operativi. La parola chiave, ripetuta in quasi tutti gli interventi, è una sola: necessità di cambiamento - tecnologico, culturale, industriale – per essere pronti a rispondere a minacce ibride, alla resilienza delle supply chain e alla ridefinizione del dominio operativo.

Nel suo intervento di apertura dei lavori del convegno, l’Ambasciatore Michele Valensise, Presidente dello IAI, ha fissato il tono del dibattito sulla natura, ormai permanente, delle tensioni internazionali: “Affrontiamo una fase storica in cui la sicurezza non può più essere considerata un capitolo separato dell’agenda politica: è la condizione stessa per preservare la nostra libertà d’azione. I temi della difesa non sono una novità: sono all’ordine del giorno da oltre 70 anni. Ma oggi – tra l’aggressione russa all’Ucraina, le crisi globali e la competizione tra grandi potenze – la complessità è tale da imporre un salto di consapevolezza”. Per Valensise, la vera sfida è duplice: adottare un approccio integrato ai 5 domini operativi – terra, mare, aria, spazio e cyber – e garantire che opinione pubblica, politica e industria paghino un “surplus di realismo” verso la sicurezza nazionale.

L’industria deve raddoppiare la produzione, ma aumentare la percentuale del PIL per la Difesa è un obiettivo realistico, oltre che necessario per l’Italia?

Il presidente dell’AIAD, Giuseppe Cossiga, ha descritto senza giri di parole la situazione ed i limiti strutturali della base industriale italiana. L’aumento della spesa al 2% del PIL, spiega, non si traduce magicamente in capacità operative: “Se si raddoppiano gli ordini, le aziende devono raddoppiare la produzione ed assorbire la crescita della domanda con ritmi molto più rapidi degli attuali”. Ma per farlo servono personale qualificato, impianti, ampio accesso al credito per le aziende della difesa e materie prime strategiche, dagli acciai balistici agli esplosivi. E oggi tutto questo è difficile da ottenere, non abbiamo più il lusso del tempo”. Cossiga ha insistito su un punto politicamente sensibile: “Se non rafforziamo la supply chain, rischiamo di comprare all’estero quello che dovremmo produrre in Italia”, un punto che interseca direttamente il tema della sovranità tecnologica nazionale, ma anche europea. E avverte contro la demonizzazione del comparto: bisogna smetterla di considerare, come alcuni scellerati “industria e militari come mercanti di morte”, al contrario, “sono parte del sistema che garantisce la nostra sicurezza”.

Nel nuovo conflitto la prima linea è invisibile: “Viviamo in uno stato di minaccia permanente”

La fotografia tecnologica del campo di battaglia multidominio arriva da Domitilla Benigni, CEO e COO di ELT Group. Il suo messaggio è netto: “Non esiste più la distinzione fra pace e guerra. Siamo in un perenne stato di minaccia e immersi in una competizione continua, in cui il dominio elettromagnetico è il campo di battaglia primario e decisivo”. Da esso, infatti, dipendono comunicazioni, GPS, satelliti, reti e piattaforme operative. “La superiorità informativa”, ovvero la capacità di acquisire, processare e distribuire dati “rappresenta oggi un moltiplicatore di potenza determinante, è ciò che determina chi vince. Occorre acquisire, trattare e distribuire informazioni più velocemente dell’avversario”. Relativamente alla principale minaccia dal punto di vista “ibrido ed evolutivo”, Benigni identifica i droni: “non solo quelli militari, ma anche quelli commerciali, impiegati in sciami, rappresentano una delle forme più sofisticate di guerra ibrida” che richiede combinazioni di guerra elettronica, capacità anti-drone basate su AI e sistemi cinetici e non-cinetici. Non meno rilevante il tema delle competenze: “la formazione è parte integrante della difesa. Senza personale altamente qualificato, nessuna tecnologia è sufficiente”. ELT sta investendo nella formazione continua: “Servono competenze nuove, perché il ritmo dell’innovazione è troppo rapido per pensare che gli addestramenti tradizionali siano sufficienti”.

“Non prepariamoci alla guerra sbagliata”: l’Esercito punta su tecnologia, difesa aerea e dominio cyber

Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Carmine Masiello, ha offerto una lettura strategica radicale: “In Ucraina si combattono 3 guerre in 1: quella convenzionale, con il ritorno massiccio dell’artiglieria, delle trincee e delle fortificazioni; quella tecnologica, dominata da sensori, fuoco di precisione e robotica; e quella informazionale, in cui la narrazione plasma la percezione strategica”. Ma l’errore peggiore, ammonisce, sarebbe limitarsi a guardare a est e nel prepararsi alla guerra sbagliata/del passato: “dobbiamo pensare alle minacce che verranno da Africa, Medio Oriente e Artico, aree caratterizzate da instabilità, competizione per le risorse e presenza crescente di attori ibridi”. Da qui la necessità di un Esercito “profondamente tecnologico”, capace di integrare 3 cicli d’innovazione considerati imprescindibili quali guerra elettronica, difesa anti-drone multilivello, capacità cyber e, al tempo stesso, di ricostruire gli assetti pesanti convenzionali – carri, artiglieria, difesa aerea – indeboliti da 20 anni di posture expeditionary”. Sul fronte cyber, il Generale è chiaro: “Non possiamo farcela da soli. Serve un ecosistema integrato con il mondo civile e con l’industria”. E sull’intelligenza artificiale introduce un tema etico cruciale: “Noi mettiamo l’uomo nel loop. Ma l’avversario no, e questa asimmetria dovremo imparare a gestirla”.

Nell’intervento relativo alla tecnologia “Made in Italy” per i veicoli della difesa terrestre, Claudio Catalano, CEO di Iveco Defence Vehicles, ha di nuovo evidenziato come la priorità assoluta, anche in tale settore, sia la ricostruzione di una supply chain europea, “oggi troppo fragile a causa della delocalizzazione/decentralizzazione” spinta, seguita negli ultimi 30 anni, “e della dipendenza estera”, intesa come extraeuropea.

Molto interessante il panel dedicato alle tecnologie per la protezione dello spazio aereo nazionale, con una panoramica dai droni allo sviluppo della propulsione aeronautica, in cui il Sottocapo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, Generale Giovanni Balestri, ha sottolineato il rapido mutamento del dominio aereo. “La difesa aerea non può più basarsi soltanto su piattaforme pilotate e sistemi radar tradizionali. L’ecosistema minaccia si è moltiplicato e diversificato”. Il Generale ha delineato 3 percorsi di trasformazione necessari: il primo relativo al sottodominio degli UAV – impiego e loro contrasto – secondo il quale l’Aeronautica Militare deve dotarsi e poter contare su flotte integrate, con piattaforme autonome capaci di operare in sciame, fungere da sensori avanzati e saturare le difese avversarie. Il secondo riguardante la propulsione aeronautica in cui “lo sviluppo di nuovi motori, più efficienti, adattivi e resilienti, rappresenta un requisito strategico non delegabile. La propulsione è potere aereo, e tale potere resta un cardine del concetto di deterrenza”. Infine, la protezione dello spazio aereo nazionale, un compito reso oggi più complesso dalla proliferazione di vettori ipersonici, UAS a bassa quota e bassissima rilevabilità, minacce stand-off e attacchi ibridi alla rete dei sensori. “Servono sistemi stratificati, interoperabili e connessi, capaci di rilevare e contrastare minacce molto diverse fra loro”. Balestri ha poi insistito sul ruolo dei programmi europei di nuova generazione – dal GCAP alle iniziative comuni sulla propulsione e gli armamenti – come condizione essenziale per mantenere la superiorità aerospaziale in un contesto globalizzato e altamente competitivo.

Anche in tale settore, come ricordato precedentemente, l’ostacolo maggiore non è solo tecnologico, ma umano: “possiamo acquistare sistemi moderni e costruire capacità industriali, ma se non formiamo persone in grado di usarli e gestirli, saremo comunque vulnerabili; senza capitale umano qualificato, anche i sistemi più avanzati diventano inefficaci” ha ricordato Pierfederico Scarpa, Strategy, Marketing & Sales Vice President di Avio Aero, denunciando una carenza strutturale di tecnici, ingegneri, analisti, operatori cyber e specialisti di dominio elettromagnetico. Il problema è duplice: competizione con il settore privato e una narrativa che non sempre valorizza il ruolo sociale della difesa. Da qui la necessità di “programmi formativi stabili, accademie tecniche integrate e percorsi di carriera che rendano il settore attrattivo per i giovani” ma anche la necessità di un cambiamento nella “narrativa” relativa al mondo della difesa brutto e cattivo.

A chiusura del panel l’intervento di Lorenzo Mariani Amministratore Delegato e Direttore Generale di MBDA Italia che ha richiamato alla necessità di una strategia continentale coerente, denunciando la frammentazione delle iniziative e la lentezza decisionale: “l’Europa deve decidere se vuole essere protagonista o spettatrice. La difesa europea non può essere un mosaico di iniziative scollegate. La massa critica è indispensabile, sia per lo sviluppo tecnologico sia per la sostenibilità industriale”. Secondo Mariani, i grandi programmi – dal nuovo Main Battle Tank al GCAP passando per i sistemi missilistici (HYDIS) o navali – richiedono una filiera continentale solida ed un approccio politico, prima che tecnico: “O l’Europa sceglie di produrre sicurezza, o la comprerà da chi ce l’ha già. Ma il prezzo, in entrambi i casi, sarà molto alto”. Ha inoltre avvertito che la concorrenza internazionale non aspetta: “Negli Stati Uniti gli investimenti crescono e la tempistica è rapida. Non possiamo continuare con cicli decisionali di 10 anni”.

Altrettanto interessanti panel pomeridiani. In quello dedicato al nuovo paradigma industriale della difesa tra nuove minacce e tecnologia, Alessandro Ercolani, CEO di Rheinmetall Italy, ha evidenziato come la difesa europea stia entrando in una fase in cui la competizione è prima di tutto tecnologica: “oggi deterrenza significa capacità di produrre tecnologie strategiche in quantità, qualità e tempi compatibili con la minaccia. La disponibilità industriale è parte integrante della sicurezza nazionale”. Anche Ercolani ha insistito sulla necessità di rafforzare le supply chain continentale e di investire su ricerca e produzione con logiche di lungo periodo: un ecosistema industriale resiliente, ha spiegato, è “la condizione minima per garantire sovranità e autonomia strategica”.

Ovviamente grande attenzione al dominio cibernetico e, in particolare, al settore della cybersicurezza fondamentale per la protezione di dati e infrastrutture digitali e, di conseguenza, della libertà democratica. Un settore segnato dal moltiplicarsi degli attacchi ibridi contro infrastrutture pubbliche e private. Nunzia Ciardi, Vice Direttore Generale dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, ha sottolineato come il cyberspazio sia “un dominio di conflitto continuo, dove non esistono tregue e dove gli attori ostili cercano costantemente di penetrare i sistemi per minare fiducia, servizi e processi democratici” ragion per cui, “proteggere la rete è proteggere il Paese: i dati rappresentano ormai un’infrastruttura critica”. A farle da eco l’On. Matteo Perego di Cremnago, Sottosegretario alla Difesa, che ha insistito sull’integrazione fra strumenti civili e militari in questo campo. “La difesa non esiste senza cyber. Non c’è piattaforma, sensore, nave o velivolo che non dipenda da un flusso continuo di informazioni sicure”. La loro protezione costituisce “una responsabilità strategica per le Forze Armate e per l’intero Stato”.

La sicurezza marittima si conferma un dossier cruciale, ma è soprattutto la dimensione subacquea a emergere come uno dei domini più strategici. L’Ammiraglio Giuseppe Berutti Bergotto, Capo di Stato Maggiore della Marina, ha evidenziato come la competizione sotto la superficie riguardi oggi “infrastrutture critiche, cavi, pipeline, sorveglianza fondali e capacità antisom avanzate”, mentre l’Amm. Giuseppe Cavo Dragone, Presidente del Comitato Militare della NATO, ha definito il dominio subacqueo come “una delle aree in cui la superiorità tecnologica occidentale sarà maggiormente messa alla prova nei prossimi anni”. A tal proposito, sul fronte industriale, Pier Roberto Folgiero, AD di Fincantieri, ha sottolineato l’urgenza di sviluppare piattaforme e sensoristica di nuova generazione: “le minacce cambiano profondità e dobbiamo garantire alla Marina sistemi che vedano più lontano, più in silenzio e più a lungo”. In chiave istituzionale, la Sen. Roberta Pinotti, Presidente della Fondazione del Polo Nazionale della Dimensione Subacquea, ha ricordato che l’Italia ha tutte le competenze per essere un attore cardine in questo settore emergente, “a patto di investire in modo strutturale e stabile”.

La parte finale del summit ha visto la presentazione dello studio IAI dal titolo “Le operazioni multi-dominio: verso una dottrina integrata” presentata dai ricercatori Elio Calcagno, Karolina Muti e dal responsabile programma Difesa, Sicurezza e Spazio dell’Istituto, Alessandro Marrone. Uno studio che evidenzia la crescente interdipendenza tra aria, mare, terra, cyber e spazio. “Il conflitto moderno”, ha spiegato Marrone, “non si vince più sommando capacità, ma integrandole in tempo reale attraverso dati, sensori e reti resilienti”. In questa prospettiva, gli interventi degli ospiti hanno delineato un quadro unitario: Cavo Dragone ha parlato della NATO come “architettura indispensabile per garantire interoperabilità vera e non solo nominale”, laddove Roberto Cingolani, AD di Leonardo, ha sottolineato il ruolo dell’industria nel produrre “sistemi intelligenti capaci di operare in un ambiente di minaccia dinamico” (vedi il MICHELANGELO DOME). Il Gen. Giovanni Iannucci Comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze, ha evidenziato la necessità di integrare catena di comando e sensori “permanenti, distribuiti e interconnessi”, mentre il Gen. Luciano Portolano, Capo di Stato Maggiore della Difesa, ha richiamato la trasformazione dottrinale in corso in cui “le Forze Armate devono essere più connesse, più agili e più capaci di deterrenza preventiva”. Infine Luisa Riccardi, Vice Direttore Nazionale degli Armamenti, ha ricordato la citata e necessaria integrazione richiede “programmazione, investimenti e un procurement più rapido e flessibile”.

Le conclusioni del convegno sono state affidate al Ministro della Difesa Guido Crosetto che, come spesso ci ha abituato, ha chiuso il summit con un messaggio molto chiaro e piuttosto netto, oltre che abbondantemente condivisibile: “non possiamo più pensare alla difesa come un costo: è la condizione stessa per lo sviluppo economico, la stabilità e la credibilità internazionale dell’Italia”. Crosetto ha richiamato la necessità di un “patto di sistema” tra politica, industria, forze armate e opinione pubblica, perché “la sicurezza è una responsabilità collettiva e un investimento generazionale”. Per il Ministro, “l’Italia ha bisogno di una riforma complessiva della Difesa, con un modello più flessibile e capace di adattarsi rapidamente.

Un Paese di fronte alla scelta di una trasformazione politica e militare urgente e accelerata

Dal Summit emerge una convinzione condivisa: l’Italia – come l’Europa – si trova in un momento di passaggio storico. La complessità delle minacce, la rapidità dell’innovazione -che corre molto più velocemente della politica - e l’interdipendenza dei domini operativi rendono la sicurezza nazionale un compito trasversale, che non può essere delegato alle sole Forze Armate. Il dibattito ha mostrato lucidamente che la sicurezza nazionale non rappresenta un semplice e spesso scomodo costo, ma un’assicurazione sulla stabilità dei Paesi e, quindi, l’alternativa non è se investire o meno nella difesa, ma se farlo nei tempi giusti o quando ormai è troppo tardi. Le questioni sul tavolo sono chiare e tutte egualmente importanti, interdipendenti e urgenti: protezione dello spazio aereo e cibernetico, recupero delle capacità convenzionali, acquisizione capacità difensive ed offensive nel dominio informativo ed elettromagnetico, rafforzamento della base industriale reinserendola nelle grandi filiere europee e colmare il divario di competenze.


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