Da 2 mesi un blocco del traffico sulle strade “strategiche” che collegano il Mali al Senegal e alla Mauritania, imposto dai jihadisti affiliati ad al-Qaeda (Jama’at Nusrat al-Islam wa’l Muslimin, JNIM), sta paralizzando Bamako, la capitale del Mali, dove vivono oltre 3 milioni di persone.
Il blocco delle strade che include la RN1 (che passa per la città di Kayes, e collega Mali e Senegal), e la RN3 e RN25 (che passano tramite la città di Nioro du Sahel (a una ventina di chilometri dal confine con la Mauritania), nella Regione di Kayes (ovest del Paese), arriva a seguito di un provvedimento del Governo del Mali che durante l’estate ha reso illegale l’approvvigionamento di carburante dai canali “informali”, limitando la possibilità di rifornirsi solo alle pompe di benzina ufficiali presenti, però, solo nelle città. Ciò al fine di ostacolare i Jihadisti che, tra le altre cose, si autofinanziano proprio tramite il contrabbando di benzina. Gli attacchi contro i convogli diretti alla capitale hanno provocato scarsità di benzina, chiusura di scuole e università, blackout e un rallentamento dell’economia, creando una pressione senza precedenti sulla giunta militare al potere dal 2021, a seguito del colpo di Stato dell’agosto 2020.
Si è discusso a lungo dell’obiettivo del gruppo di rovesciare il regime e prendere il controllo della città, ma resta incerto se il JNIM abbia realmente la capacità militare o la volontà concreta di farlo. Al momento sembra invece utilizzare l’assedio economico come leva per cercare di piegare la giunta e avviare una fase di negoziazione. L’organizzazione ha dimostrato una notevole capacità di intercettare i carichi di carburante nell'ovest/sudovest del Paese, muovendosi in piccoli gruppi mobili e riuscendo ormai a penetrare in zone che fino a poco tempo fa erano considerate bastioni del Governo. Nel corso del mese si sono registrate numerose imboscate, attacchi con ordigni esplosivi improvvisati (IED) e cisterne date alle fiamme, a testimonianza dell’intensificazione delle attività del gruppo e del suo crescente controllo sulle rotte logistiche.
La scarsità di carburante si fa ormai sentire a Bamako, dove il Governo è stato costretto a scortare i convogli di cisterne con unità delle FAMA (Forze Armate Maliane) e dell’Africa Corps (la compagnia militare privata che ha sostituito la Wagner alla morte del suo leader Evgenij Prigozin, oggi essenzialmente sotto il controllo del Ministero della Difesa Russo, a cui il Governo del Mali ha deciso di affidarsi dal 2021), distogliendo così risorse strategiche da altre aree del Paese. Le FAMA hanno infatti tentato di reagire con raid aerei - presumiamo con droni turchi BAYRAKTAR TB-2 - con il supporto degli elicotteri dell'Africa Corps, e operazioni mirate per difendere le principali arterie di rifornimento del carburante, ma la situazione rimane estremamente critica. Alcuni membri delle FAMA sono stati ritenuti responsabili delle inefficienze nella gestione della crisi e sono stati rimossi o puniti, segno della crescente tensione all’interno dell’apparato militare di fronte a questa nuova tattica di strangolamento messa in atto dal JNIM.
A rendere la situazione ancora più critica è intervenuto l’ingente riscatto versato il 30 ottobre dagli Emirati Arabi Uniti per la liberazione di 2 loro cittadini catturati dal gruppo jihadista per una somma stimata in 50 milioni di dollari, con l'accordo che prevedeva anche la scarcerazione di diversi prigionieri del JNIM detenuti nelle carceri maliane.
Nel frattempo, numerosi altri ostaggi stranieri, tra cui cittadini cinesi, indiani e iraniani, restano sotto il controllo del JNIM. Questa condizione, unita all’instabilità generale, ha spinto molti Paesi stranieri a sconsigliare o addirittura vietare i viaggi in Mali, invitando i propri cittadini a lasciare il Paese. Tra questi si contano Francia, Stati Uniti, Italia, Germania e Canada.
Nella zona sud e ovest del Paese, colpita dai blocchi degli ultimi mesi, secondo quanto riportato dal portavoce di JNIM, Abou Houzeifa al-Bambari, in un video di Al-Zallaqa, sulla piattaforma social Chirpwire, sono vietate tutte le importazioni di carburante provenienti da Senegal, Guinea, Costa d’Avorio e Mauritania. La strategia di JNIM di condurre attacchi contro le infrastrutture economiche del Mali, inclusi attacchi a fabbriche di proprietà straniera e miniere d’oro a partire da maggio 2025, mira probabilmente a indebolire la legittimità del Governo militare maliano, minacciando ulteriormente la stabilità di regioni strategiche come Kayes, nell’ovest del Mali, dove si trova la principale via commerciale del Paese con il Senegal (la citata RN 1), che insieme alla Costa d’Avorio è il principale Paese da cui il Mali importa carburante, e la maggior parte delle sue miniere d’oro ma anche di litio, bauxite, ferro e altri minerali.
Per capire appieno le dinamiche di questa crisi, ultima fase di una guerra che va avanti dal 2008 in cui si sono registrati nel Malii primi attacchi di matrice jihadista, è necessario ripercorrere - almeno brevemente - e comprendere la storia e le logiche dei principali attori sul terreno.
Il gruppo jihadista JNIM è una coalizione originariamente composta da 4 gruppi islamisti militanti legati ad al-Qaeda, attivi nel Sahel, in particolare nella zona che si estende dal nord del Mali al sud-est del Burkina Faso. I 4 gruppi che si sono uniti nel 2017 sono Ansar Dine, il Fronte di Liberazione del Macina (FLM), al Mourabitoun e l’Emirato del Sahara di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM Sahara). Attualmente, il JNIM è rappresentato dai leader di soli 2 dei gruppi originari: Iyad Ag Ghali di Ansar Dine, considerato anche il leader del JNIM, e Amadou Koufa del FLM. Quest’ultimo, sotto la guida di Amadou Koufa, è stato di gran lunga il più attivo tra i gruppi che compongono il JNIM, operando dalla sua roccaforte nel Mali centrale nelle regioni Mopti e Ségou, ed espandendosi verso ovest e sud fino al Burkina Faso. La composizione dei gruppi è significativa poiché i rispettivi leader rappresentavano jihadisti Tuareg, Fulani e Arabi provenienti dal Sahel e dal Maghreb. Questa ampia rappresentanza etnica e geografica ha creato l’impressione di un gruppo unito e in espansione. In realtà, ciascuno dei gruppi componenti mantiene tutt'oggi propri obiettivi, struttura organizzativa, modalità di reclutamento e tattiche operative.
I gruppi islamisti militanti hanno fatto la loro comparsa nel Sahel, nel nord del Mali, circa 20 anni fa, con l’arrivo dei combattenti di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), già attivi dalla guerra civile in Algeria. Sfruttando questa crescente influenza, un leader tuareg di Kidal, Iyad ag Ghali, fondò nel 2011 Ansar Dine, che divenne poi uno dei gruppi fondatori del JNIM, con ag Ghali riconosciuto come Emiro ufficiale. Per gran parte del 2012, i gruppi islamisti occuparono il nord del Mali, approfittando del ritorno dei ribelli tuareg che, dopo aver combattuto in Libia al fianco di Muammar Gheddafi durante la rivolta del 2011, tornarono nel Paese, prima di spingersi verso sud, nelle regioni centrali più densamente popolate e più ricche di minerali. Su richiesta del Governo maliano, nel gennaio 2013, fu lanciato un intervento militare francese, l’Operazione SERVAL, che riuscì a respingere i ribelli, costringendoli a rifugiarsi nelle vaste e impervie zone del nord del Paese. Nello stesso anno, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU istituì la missione MINUSMA, che sostituì formalmente l’AFISMA (missione militare autorizzata e guidata dall’Unione Africana e approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU), con mandato operativo fino al 31 dicembre 2023. Successivamente, nel 2014, l’Operazione BARKHANE prese il posto della SERVAL come intervento militare regionale francese, con la partecipazione di diversi Paesi europei, tra cui l'Italia, con il contingente schierato nell'ambito della Task Force TAKUBA, attiva anche in Niger e Burkina Faso (area del Liptako Gourma e della triplice frontiera Mali-Niger-Burkina). BARKHANE terminò ufficialmente nel 2022, e le ultime truppe francesi presenti in Mali furono ritirate nel 2024.
Dal ritiro nel nord nel 2013, ag Ghali ha utilizzato i combattenti di Ansar Dine per creare un’enclave di influenza politica nel nord del Mali e tra i vari gruppi armati presenti nella regione.
Più a sud, nel Mali centrale, come leader del FLM, Amadou Koufa ha guidato l’insurrezione più sanguinosa tra tutti i gruppi del JNIM, tentando di rovesciare le autorità tradizionali e di imporre una rigorosa interpretazione della Sharia nei territori sotto il suo controllo. Le attività e l’influenza del FLM si sono estese anche nel nord del Burkina Faso, grazie ai legami con un gruppo islamista militante burkinabè fondato da uno dei protetti di Koufa.
Oggi la coalizione JNIM esercita molta più influenza e controllo sul territorio del Mali rispetto a qualsiasi altro momento durante i 13 anni di insurrezione. Il FLM si è progressivamente espanso dal Mali centrale fino al sud del paese nell’ultimo anno.
In questo contesto, i Tuareg del Sahel (noti anche come Popolo Blu, per il caratteristico turbante e gli indumenti indaco) hanno mantenuto una presenza significativa. In Mali, le forze dell’Azawad Army, composte da gruppi Tuareg che rivendicano l’autonomia del territorio dell’Azawad, operano principalmente nelle aree rurali e desertiche del nord, intorno a Kidal, mentre le città restano sotto il controllo dello Stato e degli Africa Corps. Essendo storicamente una popolazione nomade, i Tuareg non rispettano confini politici rigidi: la loro presenza si estende anche in Niger, dove è attivo il MPLJ (Movimento patriottico per la libertà e la giustizia), in Chad con il FACT (Fronte per l’alternanza e la concordia in Chad), e in Libia, dove le milizie sono più frammentate e legate a clan o villaggi.
Pur avendo avuto in passato rapporti altalenanti con i gruppi islamisti, la forte presenza russa nel nord del Mali ha portato all’attuale collaborazione tra l’Azawad Army e il JNIM.
Il JNIM sembra adottare una strategia di logoramento graduale, volta non alla conquista immediata di Bamako, ma piuttosto al suo collasso dall’interno attraverso soffocamento economico, delegittimazione politica e radicamento nelle comunità locali. La strategia, esplicitata anche nella propaganda del gruppo, che descrive gli investitori stranieri come colonizzatori economici, mira a esasperare le frustrazioni delle comunità e a minare la legittimità del regime militare.
(Foto: fotogramma ricavato da un servizio del canale TV "Russia 1" che mostra una colonna di autocisterne in fiamme, ripresa da un elicottero dell'Africa Corps, a seguito di un attacco del JNIM nella regione di Sikasso.)
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