Il 26 ottobre, il Presidente Vladimir Putin ha fatto visita a un posto di comando interforze, dove ha partecipato a una riunione con il Capo di Stato Maggiore russo Valery Gerasimov. Quest’ultimo ha dichiarato che il 21 ottobre 2025 la Russia ha condotto con successo un test del missile 9M730 BUREVESTNIK, denominato SSC-X-9 SKYFALL dalla NATO.
Si tratta di un missile da crociera a propulsione nucleare, armabile con testata nucleare. Il lancio è avvenuto, probabilmente, da Novaya Zemlya, un arcipelago nel nord della Russia, nell’Oceano Artico. Novaya Zemlya è stata il sito di numerosi test nucleari dell’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda. Per esempio, qui fu sperimentata anche la Tsar Bomba, nel 1961, la più grande arma nucleare mai fatta esplodere.
Secondo Gerasimov, il missile ha volato per circa 15 ore coprendo 14.000 km. Tuttavia, sempre secondo il Generale, questa distanza non sarebbe il limite massimo per i missili di questo tipo. In ogni caso, se confermato, sarebbe il primo test su tale distanza e di tale durata del BUREVESTNIK. Gerasimov ha aggiunto che le caratteristiche tecniche del missile consentirebbero un impiego preciso contro obiettivi altamente protetti, a qualsiasi distanza. Inoltre, ha dichiarato che durante il test sono state eseguite manovre verticali e orizzontali che permetterebbero al missile di “eludere i sistemi di difesa antimissile e di difesa aerea”.
In seguito al test, l’Autorità Norvegese per la Radioprotezione e la Sicurezza Nucleare (DSA) ha dichiarato di non aver rilevato alcun aumento dei livelli di radiazione provenienti dalla Russia. Tuttavia, un missile da crociera a statoreattore nucleare come il BUREVESTNIK dovrebbe teoricamente causare emissioni rilevabili. Non è un caso che, subito dopo il primo annuncio dell’esistenza del missile nel 2018, il gruppo ambientalista norvegese Bellona suggerì che un picco di radiazioni nell’Artico, registrato quello stesso inverno, fosse stato causato dal nocciolo del reattore del missile raffreddato ad aria.
Da un punto di vista tecnico, un’arma in questa configurazione userebbe motori a razzo, probabilmente a propellente liquido, per raggiungere la velocità necessaria al funzionamento dello statoreattore (ramjet). Nel caso dello SLAM (Supersonic Low Altitude Missile), un progetto simile sviluppato dall’Aeronautica Militare degli Stati Uniti negli anni ‘60 nell’ambito del project PLUTO (vedi RID 7/25), il ramjet nucleare non disponeva di alcuna schermatura per contenere le radiazioni. Questa scelta era dettata dalla necessità di mantenere il propulsore abbastanza piccolo da poter essere installato all’interno del missile. Inoltre, la scia di scarico dello SLAM conteneva materiale fissile non bruciato, che avrebbe contaminato qualsiasi area sorvolata durante il volo verso il bersaglio, sia essa sotto controllo nemico o meno. Il progetto venne abbandonato nel 1964 in favore dei missili balistici intercontinentali, ritenuti già allora più idonei e performanti.
Se il BUREVESTNIK impiega davvero la propulsione nucleare, come affermato dalle autorità russe, esiste un rischio concreto di incidenti. I test precedenti non sono stati privi di problemi. Il più drammatico risale al 2019: un’esplosione a bordo di una chiatta nel Mar Bianco, al largo di Nenoksa, causò la morte di 5 scienziati di Rosatom. L’esplosione è stata attribuita al reattore di un BUREVESTNIK recuperato dal mare, probabilmente residuo di test svolti nel 2017. L’incidente provocò inoltre un picco di radiazioni nella città russa di Severodvinsk.
Nonostante i dettagli restino oscuri, è evidente che l’uso della propulsione nucleare per un missile o per qualsiasi altro veicolo che voli nell’atmosfera presenti problemi significativi. “I test del BUREVESTNIK comportano un rischio di incidenti e di emissioni radioattive locali”, ha dichiarato il Servizio d’Intelligence Norvegese (NIS) in un rapporto pubblicato lo scorso anno. Questo rischio è particolarmente elevato durante i test senza testata, quando il missile deve necessariamente cadere a terra o in mare. In tali circostanze permangono molti interrogativi su come vengano effettivamente condotti i test.
Un missile a propulsione nucleare offre un’autonomia quasi illimitata, non vincolata dal carburante convenzionale come avviene per gli altri missili. Può seguire traiettorie imprevedibili e risultare molto difficile da intercettare (ma risulta comunque più facile da intercettare rispetto ai missili balistici). Una volta lanciato, il suo profilo di volo può sfruttare vulnerabilità nelle difese e nelle capacità di allerta precoce. Per questo motivo, i sistemi di sorveglianza spaziale, inclusi quelli in grado di rilevare velivoli a bassa quota, sono oggi molto richiesti. Il Congresso degli Stati Uniti ha recentemente inserito in una proposta di legge nota come One Big Beautiful Bill Act, 2,2 miliardi di dollari aggiuntivi destinati alle capacità AMTI (Air Moving Target Indicator) in orbita, in un contesto di riduzione delle capacità tradizionali di allerta e controllo aereo. La U.S. Space Force sta valutando quali opzioni possano essere realisticamente praticabili per sviluppare futuri satelliti in grado di tracciare in modo costante e affidabile le minacce aeree dallo Spazio. L’analisi formale delle alternative (Analysis of Alternatives, AoA), volta a definire la strategia della Space Force per le capacità AMTI spaziali, dovrebbe essere completata entro l’autunno.
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