Negli ultimi giorni la pressione politico-militare americana sul Venezuela è aumentata ancora, con la tensione tra i 2 Paesi ormai al picco: anche il gruppo da battaglia della portaerei FORD, attualmente nel Mediterraneo, sarà inviato in area operativa (dove dovrebbe arrivare tra una decina di giorni).
L’Amministrazione Trump preme sull’acceleratore e, con la scusa dei narcos, punta evidentemente a un regime change a Caracas. L’auspicio è farlo senza usare la forza, per effetto, appunto, di questa pressione, altrimenti si vedrà. I narcos, come si diceva, centrano il giusto, quello che interessa davvero a Washington è il potenziale strategico del Venezuela e la sua collocazione rispetto alla Dottrina Trump, che altro non è se non una riedizione della Dottrina Monroe che da sempre ispira la politica estera e di sicurezza degli USA riguardo il Centro e Sud America.
Il Venezuela è oggi più che mai importante: primo Paese al mondo per riserve accertate di petrolio e grande potenziale in termini di possesso di Materie Prime Critiche, tra cui Terre Rare. Si tratta però di una rendita in larga parte inespressa, per via di limiti tecnologici e logistici aggravati dal regime sanzionatorio imposto dagli Americani a partire dal 2015. Oggi Caracas esporta tra 800 e 900.000 barili di petrolio il giorno, largamente al di sotto del suo potenziale, principalmente (90-95%) verso la Cina. Con Pechino la partnership strategica è forte così come con la Russia, che vende armi a Caracas (poca roba per la verità) e aiuta il Venezuela ad allentare il cappio delle sanzioni americane. Con Mosca il tutto è stato formalizzato nell’Accordo di cooperazione strategica sottoscritto nel maggio scorso e da poco approvato pure dalla Duma.
E poi c’è la Colombia, sempre più al centro degli interessi industriali e infrastrutturali cinesi, specie dopo l’adesione, nel maggio 2025, alla Belt and Road Initiative, che ha suscitato l’ira di Washington. Ecco, allora, il grande progetto con China Civil Engineering Construction Corporation (CCECC) per collegare via treno i 2 Oceani. Un progetto ambizioso, denominato Interoceanic Corridor, per oltre 1.000 km di ferrovia attraverso la quale movimentare fino a 25 milioni di tonnellate di cargo l’anno, equivalenti al 13% del volume complessivo annuo della Colombia e al 75% del volume movimentato via ferrovia. Interoceanic Corridor è, peraltro, una delle 6 iniziative prioritarie, riguardanti il trasporto e la movimentazione ferroviaria di merci, per le quali si stimano oltre 20 miliardi di dollari di investimenti. In aggiunta, a Pechino, e non solo, evidentemente, non sfugge il potenziale della Colombia di attore emergente nel campo delle Materie Prime Critiche: dal coltan, presente nei Dipartimenti di Guainía e Vichada, al litio, passando per il nichel. Proprio il coltan viene estratto illegalmente e trafficato, in direzione, ovviamente, Pechino. L’America non gradisce e 3 giorni fa, il Tesoro ha colpito con le sanzioni il Presidente Petro e alcuni funzionari colombiani di vertice, bloccandone i conti. Nella partita geopolitica in corso, dunque, rientra a pieno titolo pure la Colombia.
Insomma, la questione è sufficientemente chiara. A Washington fa gola il petrolio venezuelano – super-pesante e bisognoso di robusti investimenti tecnologici e logistici – con il quale gli USA potrebbero rafforzare ulteriormente il proprio status di potenza energetica globale, specie se dovessero fronteggiare un aumento nella domanda, in considerazione del minor apporto russo ai mercati. A ciò aggiungiamo il fatto che in piena epoca di iper-competizione e manipolazione della supply chain globale di Materie Prime Critiche, il Sudamerica vede crescere la propria rilevanza strategica. Washington punta, pertanto, ad avere Venezuela e Colombia allineate rispetto al proprio perimetro di sicurezza energetica e alla propria geometria di forniture critiche.
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