RIVISTA ITALIANA DIFESA
Le lezioni dell’Ucraina all’Europa: contano le persone, non solo i droni 20/10/2025 | Caterina Tani (da Bruxelles)

L’Unione Europea si sta riarmando rapidamente. Con iniziative come ReArm Europe e SAFE, Bruxelles sta investendo miliardi per colmare le lacune in materia di difesa aerea, droni, intelligenza artificiale. Tra i progetti da realizzare figura anche la creazione di un vero e proprio “muro di droni” a protezione dei confini orientali. L’obiettivo: rafforzare la sicurezza europea e sostenere, nel lungo periodo, la difesa dell’Ucraina.

Ma l’UE sta davvero concentrando le proprie risorse sulle giuste priorità? Gli investimenti riflettono davvero le lezioni apprese dal conflitto in Ucraina? E qual è, in ultima analisi, la vera “ricetta” per la vittoria? Le tecnologie più avanzate e sofisticate, o le persone e la dottrina che le impiegano?

A queste domande ha risposto Fedir Serdiuk, esperto ucraino di sicurezza e difesa, consulente del Ministero della Difesa di Kiev e co-fondatore di MOWA Defense (Modern Warfare Advisory), società che forma le forze armate inquadrate nella NATO alla guerra moderna. In passato, Serdiuk ha operato con la Croce Rossa Internazionale ed è stato istruttore militare. La sua esperienza diretta dal fronte mette a nudo il cuore del problema europeo: la vittoria dipende meno dai mezzi e più dalle persone e dalla dottrina che li guida. Abbiamo parlato con lui a margine della European Defence and Security Conference tenutasi a Bruxelles la scorsa settimana.

RID: Mentre l’UE costruisce il cosiddetto “muro di droni” e la NATO guarda all’Ucraina per trarre lezioni operative, qual è il principale insegnamento della tua esperienza sul campo?

Fedir Serdiuk: La prima lezione è semplice: non iniziare mai una riflessione in merito alle lezioni apprese sul campo partendo dall’equipaggiamento. Gli esseri umani e le capacità devono essere al centro. Nel 2022 abbiamo ottenuto risultati straordinari impiegando droni commerciali da ricognizione a basso costo, integrati con sistemi come HIMARS. Quando mancavano le munizioni, i  droni FPV hanno rappresentato la soluzione temporanea. E se un giorno dovessero mancare anche quelli, verranno sostituiti da qualcos’altro. La chiave è focalizzarsi prima sulla capacità, sulla dottrina e sulla tattica, poi sul mezzo.

Un altro consiglio, valido tanto per gli Ucraini quanto per gli Europei, è che non serve un’unica piattaforma standard per tutti. È normale avere un “zoo” di sistemi per missioni diverse: la competizione genera innovazione. Alcune aziende diventeranno leader – pensiamo a Helsing o Quantum Systems – ma l’accesso al mercato deve restare aperto a tutti. Il “muro di droni” non è fatto di droni o esplosivi, bensì di persone che comprendono la dottrina, la sanno applicare e poi impiegano i sistemi nel modo corretto. Prima le persone, poi la dottrina, infine l’equipaggiamento.

RID: Parliamo di tecnologia. Quali sistemi emergenti hanno il maggior potenziale per ridefinire la guerra moderna?

Fedir Serdiuk: L’uomo resta al centro. In 11 anni ho imparato che la principale “tecnologia” è l’essere umano. Tutto il resto viene dopo. Che si tratti di un drone commerciale cinese pensato per matrimoni o di un sistema complesso come BAYRAKTAR o MQ-9 REAPER, è sempre la competenza di chi lo impiega a fare la differenza. La nostra forza sta nella capacità di costruireassemblare e impiegare droni costruiti in-house, innovare, proporre nuove soluzioni e integrare capacità diverse nei sistemi di situational awareness. Poi viene l’equipaggiamento.

Sul piano dei mezzi, le piattaforme unmanned avranno l’impatto maggiore sul campo di battaglia. Il mondo osserva quanto i nostri UAV siano efficaci in ogni livello del combattimento: un drone FPV da 500 dollari può distruggere un carro da 10 milioni. I nostri ISR individuano i bersagli, poi i sistemi HIMARS colpiscono a 60 km di distanza. Senza dimenticare anche l'efficacia dei droni a lungo raggio, capaci di colpire raffinerie a oltre 1.000 km di distanza.

A terra, l’evacuazione dei feriti è logisticamente quasi impossibile: i veicoli vengono facilmente distrutti da droni FPV o da sistemi a controllo via fibra ottica, impossibili da disturbare. In mare, droni navali artigianali hanno affondato navi russe – e successivamente anche i velivoli inviati a proteggerle.

Nel prossimo futuro, vedremo un impiego crescente di software e intelligenza artificiale a supporto dei comandanti, anche ai livelli più bassi della catena di comando. Non sono un grande sostenitore dell’AI in guerra – rimango scettico – ma ci saranno progressi. Le tecnologie spaziali stanno emergendo rapidamente: qualcuno ha persino proposto sistemi d’arma stratosferici basati su palloni. L’immaginazione umana non ha limiti – e purtroppo, quando libertà e dignità vengono attaccate, dobbiamo usarla per difenderle.

RID:I leader baltici e nordici guardano all’Ucraina per imparare a rilevare e contrastare i droni. Come può Kiev istituzionalizzare questo ruolo – magari attraverso partnership come MOWA – per contribuire alla sicurezza europea?

Fedir Serdiuk: I meccanismi G2G sono già attivi. Il Presidente Zelensky ha recentemente inviato esperti in Danimarca. L’ingresso dell’Ucraina in UE e NATO ci permetterebbe di contribuire direttamente alle decisioni e di dare accesso alle nostre aziende al mercato europeo, rafforzando così l’architettura di sicurezza comune.

Ma la vera risorsa nascosta sono i veterani: abbiamo 1,5 milioni di veterani registrati, molti dei quali ancora in servizio. Persone con esperienza, dedizione e professionalità. Immaginate cosa può significare per i team R&S, le start-up, la manutenzione tecnica. Si tratta di un’enorme risorsa umana – non solo per la ricostruzione dell’Ucraina, ma per la sicurezza futura dell’Europa.

RID: MOWA Defense forma anche militari dei Paesi NATO. Quali sono le principali barriere all’integrazione delle innovazioni ucraine con i sistemi dell’Alleanza?

Fedir Serdiuk: Due fattori: resistenze psicologiche e burocrazia. Alcuni pensano: "Siamo membri NATO, i più forti e preparati, non possiamo essere addestrati da chi un tempo formavamo noi". Questo atteggiamento sta cambiando. Ma imparare dagli altri non ti indebolisce – ti rende più forte e più intelligente. Noi possiamo formare soldati NATO perché abbiamo combattuto per anni e pagato quell’esperienza con la vita. Non è una questione d’orgoglio, ma di esperienza reale di combattimento.

Poi c’è la burocrazia. Prendiamo l’esempio dell’addestramento medico: la cosiddetta “golden hour” (l’ora critica per il salvataggio di un ferito) non esiste più quando l’evacuazione aerea non è disponibile e quella terrestre è impossibile. Bisogna addestrare i soldati a mantenere in vita un compagno per 12-24 ore, non solo per una. Tuttavia, quando si parla di aggiornare dottrine e protocolli, la risposta è spesso “serve più ricerca” – che nella pratica significa anni di procedure, comitati e autorizzazioni. Ma né l’Ucraina né l’Europa dispongono di quel tempo. L’adattamento rapido e l’apertura all’innovazione sono ciò che oggi tiene viva l’Ucraina – e che domani potrà salvare anche l’Europa.

RID: Costruire capacità richiede tempo e coordinamento. I Paesi europei stanno davvero imparando dall’Ucraina?

Fedir Serdiuk: In Ucraina diciamo: "Non c’è nulla di più permanente del temporaneo". Quando è iniziata l’invasione su larga scala nel febbraio 2022, anche alleati come i Five Eyes - Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito, USA - pensavano che la guerra sarebbe durata poco: ci è voluto tempo per far comprendere ai partner internazionali che la guerra è una sfida strategica, che richiede tempo, energie e risorse (come nel caso di SAFE o del “muro di droni”). 

La vera sfida oggi è di natura pratica: sviluppare modelli di cooperazione efficaci tra l’Ucraina e i Paesi occidentali – dal B2B (tra imprese) al B2G (tra imprese e governi), fino al G2G (tra Stati). Si parla di joint venture, scambi di proprietà intellettuale, centri addestrativi congiunti e programmi di formazione e consulenza condotti da veterani. Fondamentale è mantenere questi programmi costantemente aggiornati, perché la tattica cambia di continuo.

E soprattutto, passare all’azione, “deeds, not words: l’osservazione passiva è la via meno efficiente".

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