
La prima fase dell’accordo tra Israele e Hamas per Gaza – l’ormai famoso Piano Trump – è stata completata con successo.
Gli ostaggi israeliani sono stati riconsegnati alle famiglie, i detenuti palestinesi liberati e le IDF si sono ritirate sulla Linea Gialla, ben al di dentro della Striscia. Ora arriva il difficile: il disarmo completo di Hamas, il ritiro completo delle IDF da Gaza – secondo il Piano Trump Israele manterrà comunque il controllo di una buffer zone lungo tutto il confine tra la Striscia e lo Stato Ebraico – e l'amministrazione di Gaza stessa.
L'idea di Trump, condivisa da Tel Aviv e da molti nel mondo arabo, è fare di Gaza una sorta di mandato amministrato internazionalmente per un lungo tempo, quanto meno il tempo necessario ad avviare la ricostruzione della Striscia in attesa che i Palestinesi stessi siano in grado di gestirla. Chi sarebbero questi Palestinesi? Tecnocrati, che arriverebbero anche da fuori, e, sopratutto, i principali clan locali, a cominciare da quei Dogmush che in questi primi giorni di cessate il fuoco si sono già scontrati con Hamas. Palestinesi, in generale, che accettano di convivere con Israele e che iniziano a sperimentare i benefici economici di tale convivenza. Esattamente come accaduto con diversi stati arabi e musulmani che hanno normalizzato i loro rapporti con Tel Aviv (EAU, Marocco, ecc.), mentre domani in Israele è atteso per una prima, storica, visita il Presidente indonesiano, Prabowo Subianto.
Hamas, senza più quel legame forte con Iran e Qatar, non ha alternative al disarmo - dato che gli Israeliani in qualsiasi momento potrebbero “finire il lavoro”… - e a riciclarsi, accettando, di fatto, la convivenza con Israele e il nuovo status di Gaza: i “duri” se ne vadano, gli altri restino pure.
Peraltro, questo progetto di “cantonizzazione” del mondo palestinese potrebbe essere replicato anche in Cisgiordania, dove, la presenza di 700.000 coloni, di cui oltre 200.000 nell’area di Gerusalemme Est, non rende più realisticamente praticabile la strada dello “Stato palestinese”.
Ecco che la Palestina diventerebbe una sorta di Kurdistan, diviso, appunto, in cantoni, alcuni dei quali apertamente alleati, in nome del business, con gli Israeliani, e gli altri quanto meno “indifferenti”. Alternative realistiche, anche in queste ore di grande entusiasmo e iperboli, non ce sono. È bene che anche i nostrani puristi del Diritto internazionale – esponenzialmente proliferati su social e nei salotti negli ultimi mesi – se ne facciano una ragione.
In definitiva, questi 2 anni di guerra in Medioriente che cosa ci lasciano? Ci lasciano un panorama geostrategico regionale profondamente cambiato: l’Hamas capace di progettare e condurre azioni come quella del 7 ottobre 2023 non esiste più, il temuto Hezbollah di Nasrallah lo stesso, così come la Siria di Assad, mentre l’Iran degli Ayattollah continua a leccarsi le ferite dei “12 giorni”.
Ecco, dunque, l’ammaestramento: con gli Israeliani è meglio forse fare affari e business, lasciando fare la guerra. Chi ancora non l’ha capito, rischia grosso… di nuovo...
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