
Le Multi-Domain Operations (d’ora in avanti MDO) sono emerse come la risposta della NATO e, come vedremo, di alcuni Paesi NATO, a sfide di sicurezza e difesa sempre più complesse, con l’obiettivo di fornire un quadro dottrinale attraverso il quale orchestrare attività militari in tutti i domini e gli ambienti operativi, sincronizzandole con attività non militari, per consentire la generazione di effetti convergenti, possibilmente in “real time”.
Tuttavia, al di sotto di questa ambiziosa visione, si cela una realtà fatta di sfide attuative, incoerenze dottrinali (anche fra gli stessi Paesi della medesima Alleanza), e interrogativi fondamentali circa la reale capacità di questo concetto trasformativo nel mantenere le sue promesse rivoluzionarie.
E, se proprio non si vuole parlare di rivoluzione, discutiamone almeno in termini di evoluzione, il cui percorso verso le MDO rappresenta più di un semplice adattamento tattico, in quanto il concetto mira senz’altro a un cambiamento di paradigma rispetto ai concetti dell’era industriale di mobilitazione di massa e di operazioni convenzionali su larga scala che hanno modellato il pensiero militare per oltre un secolo. Il riconoscimento, insomma, di come la guerra si estenda oggi oltre i domini tradizionali di aria, terra e mare, includendo anche lo Spazio, il cyberspazio e l’ambiente informativo, riflette la consapevolezza circa le modalità con le quali saranno combattuti i conflitti futuri. Questa visione sta in realtà venendo rafforzata dai conflitti contemporanei. Si prenda il caso della guerra della Russia contro l’Ucraina, e si pensi ai numerosi episodi di attacchi cyber, a come sistemi satellitari commerciali quali STARLINK abbiano fornito capacità di comunicazione fondamentali allorquando le reti militari tradizionali siano venute meno, o a come numerose tecniche riferibili all’ambito ICT (Information and Communication Technologies), magari talvolta persino mutuate dal mondo del cosiddetto “digital forensic”, vengano impiegate per una varietà di ruoli che vanno dallo spionaggio a raffinate operazioni psicologiche in forma di cosiddetto “social engineering”, o dall’intelligence operativa al vero e proprio “targeting”.
L’articolo completo è pubblicato su RID 10/25, disponibile online e in edicola.
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