
Si è svolto a Roma, presso Palazzo Guidoni sede della DNA, la prima edizione del Forum “Defence Procurement: la prospettiva nazionale per una Difesa Europea". L’evento, ideato ed organizzato dallo Stato Maggiore della Difesa, aveva come obiettivo la discussione approfondita del tema, divisa in 2 “panel”, con la partecipazione di importanti esponenti delle Forze Armate, dell’industria della Difesa e del mondo accademico. Discussione che ha poi portato alla sottoscrizione di un "Manifesto di intenti" tra gli stakeholder coinvolti, a sostegno di principi, impegno e condivisione a favore del “Sistema Paese” e verso una reale unione delle forze tra industria, mondo della ricerca e Forze Armate per ripensare procedure e piani di procurement in ambito europeo secondo una prospettiva nazionale. Inoltre, il Forum ha operato come “cassa di risonanza” per la presentazione di un progetto mirato all’apertura di una riflessione attraverso uno studio divulgativo, a connotazione scientifica, sul tema delle acquisizioni militari in ambito europeo, con un focus sulla prospettiva nazionale, studio che poi approderà all'analisi dei risultati prodotti, attraverso una pubblicazione che avrà anche lo scopo di diffondere la cultura della Difesa e Sicurezza nel contesto sociale del Paese. Anche in questo caso, verranno coinvolte aziende, Università ed istituzioni pubbliche secondo la logica della sinergia e della contaminazione ed interscambio culturale e scientifico. Sviluppato su 3 tavoli tecnici di lavoro - incentrati in primis sull’analisi del fabbisogno e sulla strategia di procurement, sulle capacità convenzionali, sui domini cyber, IA e spazio, ma con approfondimenti su scenario macroeconomico e contesto normativo nazionale ed europeo riguardo il procurement della difesa - composti dai rappresentanti delle aziende, Università e Istituzioni, a cui parteciperanno ricercatori delle Università/ Facoltà e Corsi di studi, avrà una durata di circa 8 mesi. Grazie alle forme di sponsorizzazioni garantite, sono previste borse di studio a favore degli Atenei coinvolti nel progetto, a beneficio dei propri ricercatori partecipanti.
Ad aprire i lavori del Forum, l’intervento del CSMD, Gen. Luciano Portolano, che ha evidenziato come tale iniziativa rappresenti un primo tentativo di rendere stabile il confronto tra vertici militari, industria e accademia. “Nonostante le Forze Armate e l’industria si muovano secondo binari diversi, questi non devono mai essere divergenti ed è importante che non si verifichi mai una inversione dei ruoli, con l’industria che esprime le esigenze operative e la difesa che decide le strategie industriali”, come avvenuto spesso nel recente passato. “Presupposto di un sistema efficiente – ha proseguito - è quello di essere equilibrato e di tenere collegate le sue diverse componenti, senza confonderne i ruoli. Il punto di equilibrio deve essere assicurato dalla comune ricerca dell’interesse nazionale, soprattutto al livello strategico, ricercando un approccio più pragmatico che ideologico”. Il CSMD ha anche opportunamente ricordato come sia “necessario riuscire a far convergere interessi industriali verso obiettivi comuni per agevolare il conseguimento di una maggiore interoperabilità, intercambiabilità e interconnettività tra gli strumenti militari dei paesi UE, parametri fondamentali per un’efficace pianificazione e condotta delle operazioni militari in un contesto Joint and All Domain. L’obiettivo finale è, ridurre, se non eliminare, la frammentazione delle piattaforme e degli investimenti, risultato delle diverse politiche di acquisizione di 27 paesi membri che, nel tempo, si sono districati nell’annoso dilemma tra l’acquisizione speditiva “off the shelf” e la valorizzazione delle singole industrie nazionali”. In tale ambito, ben vengano iniziative quali l’EDIP (European Defence Industrial Programme) per il procurement cooperativo “con l’obiettivo di incrementare le capacità di ramp up”, o il fondo SAFE (Security Action For Europe) a cui l’Italia ha chiesto l’accesso e che “può contribuire ad assolvere alle richieste NATO relativamente al cosiddetto “Capability Target 25, senza gravare, nell’immediato, sulle finanze dello Stato”. Per accedere allo strumento - 14,9 miliardi per finanziare l’acquisto di sistemi d’arma ed equipaggiamenti fabbricati nell’ambito dell’Unione Europea al 65%, con il restante 35% per acquisti al di fuori dell’UE, con particolare riferimento a sistemi di difesa aerea/antimissile, munizioni d’artiglieria, droni e sistemi C-UAS, navi di superficie e sottomarini, mobilità nei vari domini, spazio, cybersecurity ed intelligenza artificiale - il nostro paese dovrà presentare una “lista di programmi nazionali per l’acquisizione di capacità di difesa critiche, urgenti e indispensabili”, già consegnata in forma preliminare, che si fonda “non solo sulle esigenze capacitive ma anche di delivery dell’industria”. L’inclusione di questi programmi nel SAFE consentirà di posizionare l’industria nazionale nel contesto europeo, tenendo però presente che, ad oggi, “solo pochissime realtà europee sono in grado di fornire prodotti interamente basati su componenti europei, quasi tutte dipendono da una filiera che include componenti provenienti da paesi extra UE, in particolare dagli Stati Uniti”. Ciò che serve, per Portolano, è “un confronto esplicito sulla tipologia di mercato che si desidera costituire a livello europeo, ipotizzando al riguardo 3 diversi scenari: “cooperazione rafforzata, in cui le modalità di sviluppo delle capacità militari restano immutate, sebbene intervengano incentivi finanziari; “integrazione graduale, con aumento progressivo della cooperazione industriale europea con la possibilità che alcune realtà industriali assumano la leadership in specifici settori o domini; autonomia strategica con un’aggregazione dell’offerta, scenario, tuttavia, che richiederebbe scelte difficili che potrebbero costituire importanti perdite di eccellenze nazionali a favore della creazione di eccellenze europee, dove alcuni stati membri potrebbero essere più agevolati e rappresentati di altri. L’auspicio italiano” – ha concluso – è una sintesi tra il rafforzamento “dell’eccellenza nazionale e la sua trasformazione in eccellenza europea, accettando che non è possibile fare tutto e comprendendo che bisogna specializzarci in ambiti che ci garantiscano un ruolo sui mercati”. Perché se è vero che “è inevitabile perseguire una visione europeista”, va fatto comunque “tutelando i legittimi interessi nazionali”.
A far da eco alle parole estremamente condivisibili del Gen. Portolano, quelle dell’Amm. Giacinto Ottaviani, Direttore Nazionale degli Armamenti, che ha sottolineato come gli strumenti europei citati, vadano chiaramente verso un “rafforzamento della base industriale e tecnologica dell'industria della difesa europea”, e rappresentino “elementi efficaci per favorire l'aggregazione delle acquisizioni/common procurement e l’elaborazione di requisiti comuni per facilitare l’interoperabilità”. Ha aggiunto, inoltre, che se certamente “i conflitti in atto confermano necessità di acquisire superiorità tecnologica, sistemi d’arma che siano moderni, allo stato dell’arte e adeguato in numero”, allo stesso tempo bisogna però “prestare attenzione agli stock, alle riserve di munizioni per essere in grado di soddisfare esigenze nazionali e NATO”.
Dal punto di vista industriale, è emersa l’urgenza di ridurre i vincoli procedurali, oltre che il consolidamento delle capacità. L’Amb. Stefano Pontecorvo, Presidente di Leonardo, ha evidenziato che “per la joint venture con Rheinmetall per la produzione dei nuovi veicoli corazzati dell’Esercito sono state necessarie 5 diverse certificazioni antitrust”, sottolineando la necessità di processi europei più rapidi. “Se l’Ue continua ad applicare meccanismi di mercato interno nel campo della difesa è la fine”. Inoltre, ha opportunamente ricordato come “il consolidamento industriale nel campo della difesa sia difficilissimo” e, proprio per questo, la “strada battuta da Leonardo, volta al perseguimento delle sinergie, è quella più corretta, tanto nel settore nei droni” con i turchi di Baykar, quanto e “nei veicoli terrestri con Rheinmetall”.
Sulla stessa linea, l’intervento del Dott. Biagio Mazzotta, Presidente di Fincantieri che ha evidenziato come “la semplificazione normativa e amministrativa delle procedure di procurement e una programmazione pluriennale precisa e puntuale, così da essere puntuali e precisi nella consegna del prodotto”, rappresentano elementi fondamentali per il comparto industriale. Accanto ad esso, la deframmentazione: “Occorre deframmentare, ovvero ridurre il numero delle piattaforme e spendere meglio, oltre che spendere di più. Allineare i requisiti per evitare che ogni paese produca la sua corvetta, tramite il finanziamento di progetti complementari a quelli NATO, per evitare frammentazione delle piattaforme.
Molto interessanti le riflessioni dell’Ing. Lorenzo Mariani, Amministratore Delegato e Direttore Generale di MBDA Italia, che ha evidenziato un altro elemento fondamentale per il procurement: la tempestività: “La chiave è armonizzare i requisiti ed entrare nei progetti comuni con investimenti e programmi già avviati, per non rimanere indietro rispetto a partner e concorrenti. Se vogliamo andare in maniera credibile e forte come Italia verso una difesa europea”, l’Italia deve capire prima dove dobbiamo investire e investirci veramente prima di andare ai tavoli di collaborazione”. Una situazione che si verifica non abbastanza spesso. “Noi arriviamo di solito ai tavoli con nazioni che hanno già individuato le soluzioni, avviato il disegno e parte degli schemi produttivi”, ha ricordato Mariani. “Due esempi per tutti: laser e loitering munition, su cui stiamo lavorando con Leonardo. Su entrambi, Francia, Germania e Inghilterra, stanno già ricevendo copiosi finanziamenti e quando convergeremo - perché convergeremo - ci troveremo con qualcuno che avrà fatto qualcosa più di noi e di conseguenza, avrà una design authority più completa”. Ovviamente restano fondamentali i programmi comuni: “Italia, Francia e Inghilterra avevano già deciso che ci sarebbe stato un unico missile deep strike (SCALP/STORM SHADOW), un solo missile aria-aria (METEOR), e un unico missile di difesa aerea (ASTER). Questo ha costituto il campo su cui si è giocato. Senza questo non ci sarebbe stata MBDA”. Passando ai rischi relativi alla prospettiva industriale di una vera difesa europea, Mariani ne cita 3. Il “rischio America”, perché “industrialmente agli Stati Uniti una industria della difesa europea forte e unita non conviene, basti pensare alle difficoltà di integrazione di armamenti europei sugli F-35. Il secondo è il “rischio Germania”, che ha un’industria diversa da quella italiana o francese e inglese, in alcuni settori più frammentata, in altri più solida ma sta ricevendo iniezioni di capitali sempre più importanti e questo non sempre aiuta a convergere su temi di comunalità”. Il terzo rischio, secondo Mariani, è “la deriva nazionalista”, “MBDA è nata “in un momento dove c’erano pochi soldi e questo rende più facile mettersi d’accordo e portare al tavolo gli interlocutori”.
Il forum è stato anche l’occasione per lanciare un appello alla responsabilità, affinché i maggiori investimenti nella Difesa producano un valore aggiunto per l’intero Paese, elemento alla base dell’intervento del Ministro della Difesa, Guido Crosetto, così come la necessità di adeguarsi ai tempi accelerati della competizione globale. “Stiamo vivendo in un’epoca caratterizzata da tempistiche che nella storia hanno pochi precedenti”. Citando il conflitto ucraino, caratterizzato dal diffuso impiego di UAS/UAV/FPV, ha ricordato che la nuova sfida della Difesa è costituita dal fatto di non poter “preventivare ciò che gli servirà tra 6 mesi, perché il drone che si troveranno affrontare tra 6 mesi sarà profondamente diverso da quello che affronteranno tra 12 o 18 mesi, e quindi l'arma che serve a contrastarlo deve essere in continua evoluzione ed adattarsi con la stessa rapidità”. “Questo ti obbliga ad avere, non soltanto una Difesa che investe in tecnologia tradizionale/di base, ma che si deve adeguare alla sfida e per farlo deve essere necessariamente in contatto costante e continuo con il mondo della ricerca e le Università”. Le risorse finanziarie sono fondamentali, ma lo è anche il modo in cui vengono impiegate. “Dobbiamo trasformare ogni euro investito in qualcosa che sia veramente utile per la difesa della Nazione”. Per il ministro, maggiori fondi significano anche maggiori responsabilità: “Tali risorse devono trasformarsi in tecnologia, in difesa, in sicurezza”. Relativamente ai settori d’investimento, si parla di unmanned, “intelligenza artificiale, quantistica, innovazioni sulle quali la difesa deve investire perché sono gli strumenti che consentono di elaborare prima e di capire prima quale possono essere future minacce, fondamentali più di quanto sia la parte classica degli armamenti. Ogni mese colmiamo un pezzo dei gap capacitivi (difese aeree C-UAS e antimissile), ma ci vorranno anni per costruire una capacità difensiva adeguata alle minacce”. Tutto ciò, in tutto in un contesto in cui l’Europa deve dotarsi di massa critica, superando divisioni e frammentazioni che non giovano né all’Unione né ai singoli Paesi. “Fino a qualche tempo il procurement era comprare quello che l’ex Finmeccanica e Fincantieri producevano, oggi non può essere così. Il procurement deve partire dalle esigenze della difesa”. “Dobbiamo capire – ha proseguito - qual è la nostra responsabilità avendo ben presente i nostri limiti: non abbiamo materie prime, né materiali critici (si pensi che per il manganese riprendiamo da 76% da paesi extra UE, principalmente dalla Cina). Limiti che l’Italia non può affrontare da sola, è l’Europa che deve occuparsi di mettere a disposizione magazzini di risorse strategiche a cui possano attingere i Paesi membri anche nei periodi di crisi”. Infine, parlando del comparto industriale il Ministro ha sottolineato i problemi che esistono tra le stesse nazioni europee in termini di “veti nei confronti di altre nazioni europee: si pensi che con la Gran Bretagna per il GCAP stiamo discutendo da 2 anni e mezzo per raggiungere, mese dopo mese, risultati migliori in termini di condivisione tecnologica, con una difficoltà mostruosa” considerando che si tratta di un programma sviluppato “assieme ad una nazione alleata da decenni”.