
Alla presenza di Putin e Kim Jong Un (e della cattivissima e potentissima sorella, Kim Yo Jong), ospiti di eccezione del leader supremo Xi Jinping, si svolge oggi a Pechino la grande parata militare per festeggiare l’80° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale.
Presente anche, tra gli altri, il Ministro degli Esteri turco (ed ex capo dell’Intelligence di Ankara), Hakan Fidan, giunto a Pechino in compagnia del Presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, e di quello azero, Ilham Aliyev.
La parata - la più imponente e costosa, pare, della storia della Cina - è un’occasione per mostrare al mondo quelle capacità militari che Pechino ha enormemente rafforzato negli ultimi 15 anni. Un “grande balzo in avanti” che non ha probabilmente precedenti nella storia e che ha proiettato Pechino al vertice del “ranking” mondiale delle potenze.
Tra le novità, il missile balistico intercontinentale di nuova generazione DF-61, basato su lanciatore mobile, una variante aggiornata del missile balistico intercontinentale DF-5 – DF-5C, dotata di 10-12 testate di rientro – e del missile balistico DF-31 – DF-31BJ, basata su silo – senza dimenticare il missile balistico intercontinentale lanciabile da sottomarino JL-3 (quest’ultimo già ampiamente operativo) e il nuovo missile a lungo raggio con capacità nucleare, lanciabile da aereo, JL-1 . Insomma, il messaggio agli USA è molto chiaro.
A sfilare, anche un’infinità di droni, più o meno nuovi, tra cui il grosso drone subacqueo autonomo AJX002 - la quantità oggi più che mai ha una sua qualità (e l’Occidente non è attrezzato per affrontare tali quantità); droni che, guidati dall’AI, dovranno infliggere il primo colpo in un ipotetico scenario di invasione di Taiwan. E poi, ancora, armi ad energia diretta (laser) di diverse tipologie e il nuovo cruise antinave ipersonico, basato su propulsione scramjet, YJ-19.
La parata, dunque, chiude il summit della SCO (Shangai Coperation Organization) e suggella il ruolo della Cina come guida del cosiddetto sud del mondo, che non accetta più l'egemonia dell’Occidente e dell’America e vuole rinegoziare le regole della governance globale.
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