
In occasione del Vertice NATO dell’Aja del 24 e 25 giugno prossimo, e nell’attesa che la pubblicazione del Documento Programmatico Pluriennale della Difesa per il triennio 2025 – 2027 chiarisca come si è arrivati al 2% di spesa per la Difesa in chiave NATO, giova fare alcune considerazioni sulla spesa militare nazionale, facendo riferimento al DPP 2024, ultimo documento programmatico disponibile.
Purtroppo, il Documento presenta dati finanziari aggregati che non consentono un’analisi puntuale e completa, ma con l’aiuto di qualche plausibile ipotesi possono comunque farsi delle interessanti considerazioni. Ovviamente, il focus è sulla funzione Difesa del bilancio, integrata con le 2 principali fonti di risorse aggiuntive: le risorse per il finanziamento delle missioni internazionali (Operazioni Fuori dai Confini Nazionali), per il 2024, pari a 1 miliardo e 180 milioni, e i fondi del MIMIT per i programmi della difesa ad alto contenuto tecnologico, 1 miliardo e 808 milioni di euro.
Per il 2024, la funzione Difesa ha avuto un’assegnazione di 20 miliardi e 848 milioni di euro, di cui 11 miliardi e 123 milioni per il personale, 2 miliardi e 222 milioni per l’esercizio, e 7 miliardi e 503 milioni per l’investimento. Questi importi, integrati con le citate risorse aggiuntive (per le missioni internazionali si è ipotizzato un 60% di spese per il personale e un 40% per l’esercizio), diventano: 11 miliardi e 831 milioni per il personale (49,6% dell’ammontare totale), 2 miliardi e 694 milioni per l’esercizio (11,3%) e 9 miliardi e 311 milioni per l’investimento (39,1%).
La prima considerazione che balza agli occhi è che l’obiettivo di riduzione della spesa per il personale militare previsto dalla Legge n. 244 del 2012, che prevedeva spese per il personale non superiori al 50%, è stato raggiunto, ma non solo. Le risorse in legge di bilancio, ovviamente, sono riferite ai costi del personale in servizio, che sempre il DPP 2024 segnala essere 164.564 unità, e non a quello previsto dalla legge di 160.000 uomini e donne, aggiornato con il Decreto legislativo n. 185 del 2023. Poiché è fortemente probabile che il dato resti al di sotto del 50% anche nel 2025, forse è giunto il momento di porre un alt alla riduzione del personale delle 3 Forze Armate, chiudendo una volta per tutte la stagione della L. n. 244/2012. Si tratta di un tema che da molto tempo i Vertici militari stanno ponendo e che, ad oggi, ha solo ottenuto risposte parziali. Peraltro, poiché il personale militare va reclutato e addestrato con un processo che richiede tempi medio-lunghi e risorse importanti, è urgente tanto quanto per l’ammodernamento, mettere mano ad un piano che ridisegni, adeguandolo alle nuove forme di conflitto, tutto il settore del personale militare, anche dando vita ad una vera Riserva nazionale addestrata.
Il secondo aspetto riguarda la spesa di esercizio, che meglio sarebbe definire spesa per l’operatività dello strumento militare nazionale. Senza formazione del personale, mantenimento dei mezzi e dei sistemi d’arma, senza addestramento delle unità e dei Comandi e senza la disponibilità di scorte e munizioni, quale che sia la spesa rispetto al PIL, non si avranno mai Forze Armate in grado di fronteggiare le molteplici sfide alla sicurezza di questo nostro tempo. Anche se si considera che alcune attività tipiche del funzionamento (adeguamento delle scorte e attività manutentive affidate all’industria), sono spesate tramite le risorse per l’investimento, una spesa all’11,3% è ben lontana da quel 25% indicato come obiettivo sempre dalla L. n. 244/2012. Man mano che lo strumento evolve sul piano quantitativo e qualitativo, l’adeguamento delle risorse per l’esercizio diventa sempre più pressante, come sottolinea lo stesso Ministro della Difesa, segnalando che “l’ipo-finanziamento del settore Esercizio, ha raggiunto livelli ormai insostenibili, incidendo in maniera importante sia sui livelli di efficienza dei mezzi e sistemi sia sulla possibilità di effettuare le attività addestrative necessarie”.
Ovviamente, non si dà operatività allo strumento con le sole risorse finanziarie. Anche qui ci vuole un piano per rimettere in efficienza, o costruire ex-novo, depositi, arsenali e stabilimenti e bisogna potenziare la componente civile della Difesa destinata a gestire tali strutture. In breve, bisogna ridare funzionalità alla logistica che lega quella di prossimità (Combat Service Support secondo la terminologia NATO) a quella svolta presso le industrie produttrici.
Un discorso a parte va fatto per le aree addestrative, tema che tocca molto da vicino la componente terrestre. Bisogna prendere atto che sul territorio nazionale non ci sono le condizioni per svolgere esercitazioni complesse pluriarma e rimettere in funzione quanto fatto circa 25 anni fa e poi abbandonato per problemi di costi, in termini di addestramento sistematico all’estero, pianificando attività e relative risorse finanziarie e strumentali. In Italia bisogna concentrare l’addestramento basico, anche con un ricorso spinto ai sistemi di simulazione.
Oggi, l’esercizio è il vero tallone di Achille della Difesa italiana ed è necessario invertire la marcia in modo robusto già a partire dall’esercizio finanziario 2026.
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