
I 2 grandi programmi di rinnovamento dell’Esercito Italiano – 3 se ci aggiungiamo pure il programma per il nuovo obice semovente ruotato da 155 mm – rappresentano sin da oggi una sfida enorme.
Si tratta di programmi per un valore potenziale complessivo di oltre 25 miliardi di euro (circa 12 miliardi già stanziati), di cui un 60% resterà in Italia in capo a Leonardo, IDV, Rheinmetall Italia e una pletora di fornitori. Ecco, quello dei fornitori e della fornitura è un tema poco discusso e “bazzicato” - poiché il tema che attira sicuramente di più è quello dell’innovazione tecnologica che questi grandi programmi portano con sé - ma assai rilevante per le sue implicazioni.
Il punto, come scriviamo ormai da tempo su queste colonne, è che programmi di tali dimensioni devono essere sostenibili nel medio-lungo periodo, ovvero un mezzo/sistema deve essere impiegabile garantendo l’assolvimento di quelle funzioni per le quali è stato concepito lungo tutto il ciclo di vita, in scenari sempre più contestati e convenzionali. Ciò apre inevitabilmente lo spazio per una riflessione profonda riguardante anche, se non soprattutto, la supply chain.
Le dimensioni dei succitati programmi, infatti, richiedono una supply chain molto robusta e radicata nel tessuto produttivo nazionale, dunque il più possibile al riparo degli shock geopolitici, e che sia capace di fornire ai prime tanto il pezzo o la componente richiesti, nel tempo richiesto e con il budget disponibile, quanto l’approvvigionamento dei materiali di base (e in certi casi dovrebbe dare anche il suo contributo in termini di innovazione). Dopo 30 anni di sotto-investimenti nel settore terrestre, questa supply chain deve essere ri/creata.
Certe competenze, è sicuramente vero, sono già state riattivate e determinate produzioni ripartite, grazie al programma di modernizzazione dell’ARIETE, ma è chiaro che per garantire la sostenibilità di IMBT e AICS, non basta e bisogna andare oltre facendo ancora di più. È necessario, per esempio, qualificare nuovi fornitori, accorciando le relative tempistiche e riducendo le complessità burocratiche (che portano con sé l’onerosa produzione di “tonnellate” di carta). Prima, però, occorre trovarli facendo un’attenta survey del tessuto produttivo nazionale. Si scoprirebbero a quel punto realtà molto interessanti. Prendiamo, per esempio, la torinese Craver, giusto per citare un nome, azienda specializzata in lavorazioni meccaniche, controlli non distruttivi e taglio laser, fusione di metalli non ferrosi, stampaggio di metallo e plastica, vulcanizzazione della gomma, e produzione di componenti e impianti frenanti completi per veicoli commerciali e industriali. Tutte capacità che in questi anni sono andate disperdendosi, seguendo i mille rivoli della globalizzazione, ma che sono critiche per garantire la solidità e il fondamento di una supply chain nazionale e sovrana. Capacità critiche sia per ciò che concernei nuovi programmi sia, soprattutto, per i programmi di manutenzione e allungamento della vita operativa dei mezzi e sistemi attualmente in servizio. Tale survey dovrebbe mettere nel mirino anche quella parte di automotive che, sull’onda dell’esponenziale crescita degli investimenti nella Difesa e di “ReArm Europe” – dovrebbe essere riconvertita a produzioni di tipo militare (lavorazioni meccaniche, motoristica e componenti trasmissive, materiali, ecc.).
Lo stesso vale per la produzione dei droni. Oggi, in Italia, accanto a ottime PMI (da SkyEye Systems, a Siralab, passando per Alpi Aviation), esistono una miriade di aziende piccole e piccolissime specializzate nella produzione di droni di diverso tipo per applicazioni civili e commerciali. L’EI, soprattutto, ma anche le altre Forze Armate, hanno bisogno di essere profondamente “dronizzati” e occorre, pertanto, uno sforzo a tutto campo. Anche in questo caso, bisogna lavorare sugli incentivi, sullo snellimento delle procure di certificazione, mentre, allo stesso tempo, va rivisto subito il famigerato limite dei 25 kg - per cui bisogna essere dei piloti per operare droni con un peso superiore a tale soglia - e allargata così la platea degli operatori di droni, magari ricorrendo pure a contractors civili.
E poi c’è la grande questione dell’economia circolare (che si inquadra anche nella nota criticità dei tempi di approvvigionamento di materie prime e semilavorati). È chiaro che IMBT e AICS dovranno essere integrati, secondo la logica multidominio e il concetto di sistema dei sistemi, con i sistemi e i mezzi cosiddetti legacy, che dovrebbero operare sul campo di battaglia come “compagni” dei mezzi di nuova generazione garantendone il supporto in termini logistici, di fuoco, ISR, ecc.
È, dunque, necessario assicurare il mantenimento e la sostenibilità anche dei mezzi legacy (in tempi di guerre convenzionali di lunga durata, non si butta via nulla: niente più Lenta!), ricorrendo pure a innovativi strumenti quali la rigenerazione garantita delle componenti. Per cui, attraverso la collaborazione tra industria e FA, occorre strutturare un modello di circolarità – recupero della componente, ri/lavorazione/rivitalizzazione, test e ore garantite – capace di offrire risparmi e nuova vita ai mezzi.
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