
L’attuale situazione internazionale ci dice chiaramente che gli Europei dovranno potenziare i loro apparati di Difesa e sicurezza: 2 elementi che, visti i conflitti in Europa e in Medioriente, sono divenuti inscindibili. Che le leadership europee lo facciano per convinzione o sotto la spinta della presidenza Trump, poco importa; devono farlo.
In questo senso devono essere letti l’invito ad agire del Presidente Draghi e le parole della Presidente della Commissione von der Leyen, i quali hanno sottolineato, in diverse occasioni, la necessità di sottrarre le spese per l’ammodernamento dell’apparato di Difesa dalle regole di bilancio dell’Unione Europea, come peraltro più volte proposto dal Governo italiano. Sul modello di quanto fatto in occasione della pandemia da COVID-19, si potrebbe auspicabilmente pensare ad una sorta di Next Generation EU per dare concretezza ai principi dello Strategic Compass for Security and Defence, che sono: azione, investimenti, partenariato e sicurezza. Per azione si intende la capacità di proiettare la propria forza; per investimento la creazione di una base industriale comune e l’indipendenza tecnologica; per partenariato il dialogo con tutti gli attori, strategici e regionali, con i quali l’Unione condivide interessi; per sicurezza la creazione di strumenti per comprendere e per reagire alle minacce multidominio.
Per dare corpo alle ambizioni dello Strategic Compass non basta il solo strumento finanziario; c'è bisogno di uno strumento politico e, con riguardo a ciò, attesa la complessità di un’azione a 27, la cooperazione rafforzata prevista dal Trattato di Amsterdam può essere una via percorribile. Peraltro, in ambito cooperazione rafforzata troviamo iniziative come la PESCO (Cooperazione strutturata permanente in ambito militare) e il “Brevetto europeo”, di particolare interesse se parliamo di tecnologia.
Lo strumento politico è indispensabile per l’ampiezza degli obiettivi che lo Strategic Compass si pone. Puntare all’integrazione e al rafforzamento della base industriale e conseguire l’indipendenza tecnologica significa armonizzare le politiche industriali e di ricerca delle singole Nazioni; un obiettivo che può essere raggiunto solo attraverso un’Istituzione appositamente creata e che disponga delle opportune deleghe.
In realtà, nell’Unione Europea già esiste un’Istituzione che svolge funzioni proprie degli Stati sovrani e che potrebbe costituire un interessante modello cui riferirsi, pure se non in termini assoluti: la Banca Centrale Europea. In fondo, la BCE è il frutto di un’iniziativa sviluppatasi secondo il principio della cooperazione rafforzata, che portò alla nascita della moneta unica europea. L’adozione dell’euro vide infatti partecipare 12 delle 15 Nazioni che allora, nel 1999, erano parte dell’Unione Europea.
Tale organismo dovrebbe essere dotato di un Consiglio Direttivo (sull’esempio di quello della Banca Centrale, il quale vede la partecipazione dei Governatori delle Banche Centrali nazionali dei Paesi dell’Eurozona), che potrebbe vedere i Direttori Nazionali degli Armamenti degli Stati aderenti stabilire gli obiettivi di ricerca tecnologica militare, finanziarli con fondi erogati dalle stesse secondo meccanismi da definire a livello dei Governi, e gestire i risultati come patrimonio condiviso. Si potrebbe, così, pervenire ad una sorta di proprietà intellettuale sovranazionale. Un analogo discorso potrebbe applicarsi allo sviluppo di sistemi d’arma che, finanziati sempre con fondi gestiti dal nuovo organismo, vedrebbero proprietà dei prototipi e relative design authority in capo allo stesso e, quindi, patrimonio collettivo dei Paesi aderenti all’iniziativa.
Potrebbe essere una soluzione da esplorare per dare una reale e concreta spinta alla realizzazione dello Strategic Compass e della European Defence Industrial Strategy.
Se il principio del partenariato conferma la volontà dell’Unione Europea di mantenere saldo il legame transatlantico, attraverso una stretta cooperazione con la NATO, azione e sicurezza comportano di rivedere i caposaldi su cui tale cooperazione si basa: un unico bacino di forze e la non duplicazione di capacità. Sul piano operativo questi 2 principi hanno portato agli accordi denominati Berlin-Plus, che vedono l’Alleanza fornitore di capacità strategiche all’Unione perché possa condurre operazioni nell’ambito degli obiettivi che si è data nel campo della sicurezza, conosciute come missioni di Petersberg. Sono procedure che, conseguentemente, vedono l’Unione Europea subalterna alla NATO, in quanto presuppongono l’unanime volontà dei membri dell’Alleanza di consentire l’utilizzo di tali capacità, cosa che non sempre è avvenuta se non dopo trattative e rinvii. Non è un caso che lo Strategic Compass parli di complementarità tra capacità militari NATO e capacità militari UE e dia particolarmente enfasi all’esigenza per l’Europa di dotarsi di una struttura di Comando operativa, di un proprio sistema di sorveglianza e intelligence e di risorse per il trasporto strategico delle forze. Peraltro, con gli Stati Uniti che guardano con sempre maggiore attenzione e preoccupazione al Teatro operativo Indo Pacifico, la realizzazione di tali capacità in ambito europeo dovrebbe essere vista favorevolmente.
Gli avvenimenti degli ultimi anni e degli ultimi mesi e settimane richiedono scelte che, riprendendo una recente espressione della Presidente del Consiglio On. Meloni, richiedono l’azione di leadership coraggiose e forti.
Coraggiose, forti e visionarie, come quelle che nel 1950 diedero avvio al processo di integrazione europea.
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