RIVISTA ITALIANA DIFESA
Terre rare e minerali critici in Ucraina 13/02/2025 | Igor Markic

La recente proposta del Presidente statunitense Trump di condizionare futuri aiuti all’Ucraina in cambio di terre rare può sembrare a prima vista una bizzarria. E, chissà, forse lo è; o forse no, dal momento che il Presidente ucraino Zelensky pare aver risposto positivamente all’idea. Perché?

Semplicemente perché, se parliamo non soltanto di terre rare propriamente dette, ma, più in generale, di minerali critici, si parla di un settore che, negli ultimi 5 anni, è raddoppiato nel suo valore globale, raggiungendo l’attuale strabiliante cifra di circa 320 miliardi di dollari. Soprattutto, questa è valutata dagli esperti come destinata a raddoppiare ulteriormente nei prossimi 5 anni.

Non è un mistero che la strategia dell’Amministrazione statunitense di potenziare la manifattura nazionale dipenda in misura rilevante dall’accesso a tali minerali al di fuori dei tradizionali canali sinora relativi a Paesi (o vie di traffico) instabili, o, comunque, ricadenti sotto l’orbita di competitor strategici (quali la Cina, ma non solo: vi è in qualche caso anche la stessa Russia). L’Ucraina può potenzialmente porsi come una valida alternativa, perché costituisce, in tal senso, il primo Paese del Continente europeo, e comunque uno dei primi al mondo, in quanto detiene ben 116 minerali critici (con 20 di essi di diretta applicazione nell’industria della Difesa). Prima dell’invasione del 2022, ne estraeva, da circa 20.000 giacimenti, il 15% delle riserve mondiali (5% nel caso si considerassero le sole terre rare), quota che ovviamente si è ridotta non soltanto per motivi bellici (cioè, attacchi alle infrastrutture) quanto anche perché circa il 20% del Paese si trova sotto occupazione russa.

Tuttavia, a differenza di quanto si ritiene, gli Oblast dodati dei giacimenti più estesi non sono affatto quelli del Donbas; l'analisi completa, con tutti i dettagli in merito, sarà pubblicata su Risk&Strategy WEEKLY 5/25, in uscita venerdì. 

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