RIVISTA ITALIANA DIFESA
Ucraina, via al negoziato (nel segno della politica di potenza) 13/02/2025 | Pietro Batacchi

Con le telefonate di ieri a Putin e Zelensky, il Presidente americano Trump ha formalmente aperto i negoziati sull’Ucraina. Come ampiamente promesso in campagna elettorale, il Tycoon vuole chiudere la guerra e si sta muovendo in tale direzione. La sensazione è che abbia trovato terreno fertile da ambo le parti. A Kiev sono stanchi: l’economia è in pezzi (quest’anno il bilancio della Difesa sfonderà quota 26% sul PIL), gli uomini scarseggiano e il futuro demografico del Paese è a rischio. Occorreranno anni e una montagna di soldi per ricostruire tutto. Poi si dovrà anche votare, e la popolarità di Zelensky non è certo quella del 2022. Se Atene piange, Sparta certo non ride, e pure a Mosca non si vede l’ora di chiudere questo doloroso capitolo. Il finanziamento della guerra ha creato uno squilibrio economico, il tasso d’interesse è oltre il 20% e le sanzioni - soprattutto quelle indirette che vanno a colpire il sistema di triangolazioni messo in piedi negli ultimi 3 anni da Mosca per reggere alla pressione occidentale - fanno male. Il “sogno” geopolitico di fare dell’Ucraina un’altra Bielorussia è tramontato da tempo, anzi, sin da subito è sembrato chiaro che sarebbe rimasto tale. La Russia controlla però un pezzo importante del Paese – strategicamente ricco – e con il negoziato punterà a mantenerne il più possibile.

Il tema è proprio questo. L’Amministrazione Trump ha ufficialmente infranto il tabù dell’integrità territoriale dell’Ucraina aprendo ad un futuro cessate il fuoco che riconosca in qualche modo la situazione sul campo. Come, dove e quanto, lo si vedrà, come si vedrà come e chi dovrà garantire questo cessate il fuoco. Fino a quel momento, i 2 contendenti continueranno a darsele di santa ragione, mentre tratteranno, per guadagnare più terreno possibile cercando di rafforzare la loro posizione. È sempre stato così: la guerra è il più potente strumento di mutamento dell’ordine internazionale. Pensare che oggi, in virtù di una presunta evoluzione del "costume internazionale", questo fondamento sia improvvisamente venuto meno, significa non avere senso della realtà e banalmente non riconoscere neppure ciò che è avvenuto negli ultimi 30 anni, quando interi Paesi sono scomparsi, distrutti da guerre, ingerenze umanitarie, esportazione della democrazia e varie. I puristi del diritto internazionale se ne dovranno fare una ragione. E ci scuseranno.

In tutto questo che fa l’Europa, sul cui terreno si combatte? Rischia di restare spiazzata e ai margini. L’approccio trumpiano, commerciale e bilaterale, alle relazioni internazionali - anzi, come dimostrano anche le telefonate di ieri, umoral-personale e “face to face” (approccio che piace molto anche Putin...) - ne riduce inevitabilmente i margini di azione. La seduzione americana ed il fascino della specialità dei singoli rapporti bilaterali con Washington (oliati da forniture di armi e gas, e da lobby formidabili) fanno del resto presa, soprattutto in Paesi storicamente esposti all’influenza americana come Italia e Germania, e allargano le maglie dell’Unione. Ma se l’obbiettivo americano è chiudere in un modo o nell’altro la partita ucraina per volgersi altrove (Asia-Pacifico), l’Europa deve capire che la propria sicurezza non è più una materia delegabile e che il peso della nuova Guerra Fredda graverà soprattutto sulle proprie spalle. Una grande sfida, ma anche una grande opportunità.

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