RIVISTA ITALIANA DIFESA
MURO DI FERRO, la nuova operazione delle forze israeliane a Jenin 22/01/2025 | Carolina Paizs

A soli 3 giorni dall'inizio del cessate il fuoco a Gaza – che, almeno per ora, sembra reggere – le IDF hanno lanciato, nella giornata di ieri (21 gennaio), un’operazione di “controterrorismo” su vasta scala nella cittadina cisgiordana di Jenin. L'operazione, denominata MURO DI FERRO, richiama esplicitamente SPADE DI FERRO, l'offensiva che ha segnato l'inizio dell'invasione israeliana della Striscia di Gaza.

Nel corso di quest'anno di Guerra, Tel Aviv ha destinato ingenti risorse materiali, appunto, al terzo fronte, quello della Cisgiordania. L'Esercito Israeliano e le forze di Polizia hanno, infatti, condotto regolarmente operazioni di rastrellamento e arresti mirati contro individui sospettati di legami con Hamas e la Jihad Islamica. L’epicentro di questa zona è sempre rimasto, principalmente, proprio il campo profughi di Jenin, storica roccaforte di Hamas e della Jihad Islamica, dove le forze israeliane hanno sempre incontrato una forte resistenza da parte dei Palestinesi. Ricordiamo, in tal senso, la Battaglia di Jenin, che si svolse dall’1 all’11 aprile del 2002, durante l’operazione israeliana SCUDO DIFENSIVO, lanciata per contrastare gli attacchi terroristici dei miliziani palestinesi nell’area nel più ampio contesto della Seconda Intifada. Le forze di Tsahal (IDF in ebraico) assediarono il campo, considerato già allora il “bastione” di gruppi come Hamas e le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa. La battaglia fu durissima: l’esatto numero di vittime – soprattutto Palestinesi – rimane ancora oggi controverso (un'indagine delle Nazioni Unite pubblicata qualche mese più tardi stimò circa 52 palestinesi uccisi, di cui la maggior parte combattenti, e 23 soldati israeliani).

L’obiettivo dell’operazione – che, secondo alcune indiscrezioni, dovrebbe durare pochi giorni – è dichiaratamente quello di “neutralizzare l’infrastruttura terroristica presente nell’area”, tra cui, appunto, gruppi quali la Jihad Islamica, Hamas e il cosiddetto Battaglione Jenin, e “contenere quella che è considerata una minaccia imminente alla sicurezza nazionale”. Il Battaglione Jenin, istituito nel 2021 per iniziativa di Jamil Al-Amouri, militante della Jihad Islamica Palestinese (PIJ), lo ricordiamo, ha il proprio Comando Operativo all’interno dell’omonimo campo profughi. Questo gruppo, al pari di altre formazioni come la “Tana dei Leoni” e la “Brigata Balata,” è nato dall’iniziativa di giovani palestinesi privi di prospettive e animati da un crescente senso di frustrazione. Nell'ultimo anno, il gruppo ha registrato un aumento significativo di consensi e di reclute, consolidando la propria presenza nella zona. Il Battaglione Jenin rappresenta uno dei numerosi gruppi armati “spontanei” emersi, appunto, dal 2021, i quali hanno “approfittato” del progressivo indebolimento del controllo territoriale nell’area da parte di Al Fatah e dell'Autorità Nazionale Palestinese (ANP); controllo che, sostanzialmente, non esercitano più.

Al momento in cui si scrive, il campo profughi è stato completamente accerchiato dalle forze di Tel Aviv, che ne hanno tagliato tutti gli accessi. Come emerge dalle immagini e dai video che stanno circolando sui social media nelle ultime ore, le forze israeliane stanno impiegando nell’area diversi bulldozer D9 – adoperati principalmente per lo sminamento di IED – e alcuni APC (Armored Personal Carrier) EITAN. Inoltre, le IDF stanno utilizzando nella zona un’ingente numero di UAV – come sempre persistenti e onnipresenti per svolgere compiti di ISR e di ricognizione armata – e di elicotteri da combattimento (AH-64 APACHE). Oltre alle “convenzionali” e regolari unità dell’Esercito Israeliano, nella zona sono presenti anche alcuni effettiviappartenenti alle forze speciali dello Shayetet 13 ("Flottiglia 13", unità di forze speciali della Marina Israeliana, sempre parte delle IDF), e pure agenti della Polizia di Frontiera.

L'operazione militare condotta a Jenin può essere interpretata come un tentativo del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu di riottenere e riconsolidare il sostegno dell’ala ultranazionalista del suo Governo, in seguito al raggiungimento dell'accordo di tregua a Gaza. Tale accordo, l’abbiamo visto, ha suscitato una forte opposizione all'interno delle fazioni più intransigenti dell'esecutivo, che l'hanno definito “estremamente pericoloso per la sicurezza nazionale”. Opposizione, quest’ultima, che ha portato, lo scorso 19 gennaio, alle dimissioni del Ministro per la Sicurezza Nazionale, il falco Itamar Ben-Gvir e che rischiano di portarsi dietro anche quelle del Ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, l’altro esponente dell’estrema destra all’interno del Governo.

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