Dopo oltre 2 anni di stallo, con una carica rimasta vacante, il Libano ha il suo nuovo Presidente, il Comandante delle LAF (Lebanese Armed Forces), Joseph Aoun.
Alla fine, il blocco sciita – Hezbollah e Amal – ha ceduto, rinunciando al suo candidato, Suleiman Frangieh, nipote dell’ex Presidente all’epoca dello scoppio della Guerra Civile (Suleiman Kabalan Frangieh) e uomo dell’ex Presidente siriano Assad, e facendo convergere i propri voti su Aoun.
Il Libano prova così a voltare pagina dopo un anno di guerra tra Israele e Hezbollah, e una crisi economica senza fine. Aoun è una delle pochissime personalità del Paese fuori dai settarismi che ne hanno tragicamente marchiato la storia. Vicino agli USA, dove ha perfezionato la sua formazione militare, e in parte anche all’Arabia Saudita, Aoun ha guidato le operazioni contro ISIS e al Nusra nell’est del Paese, ha cercato di mantenere una sorta di neutralità nazionale per le LAF ed è stato una delle chiavi del cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah. Si trova adesso a guidare un Paese in ginocchio, in cui però la grande novità è rappresentata dal ridimensionamento di Hezbollah, uscito con le ossa rotte dal confronto con le IDF, orfano di Assad e del retroterra logistico siriano, e con il patrono iraniano molto indebolito e terrorizzato da cosa potrà accadere dopo il 20 gennaio…
L’esito delle elezioni presidenziali dimostra chiaramente che in un anno il Partito di Dio ha visto ridursi notevolmente il suo “grip” sulle istituzioni e la vita politica libanesi, e con esso la sua capacità negoziale. Di contro, sono cresciuti i margini di manovra dell’Arabia Saudita, che ha condizionato la sua assistenza finanziaria – di cui il Paese ha un disperato bisogno – all’elezione di un Presidente gradito.
Insomma, per il Libano potrebbe aprirsi un nuovo capitolo della sua storia, ma gli interrogativi sul futuro del Paese sono ancora molti. Il cessate il fuoco con Israele deve ancora consolidarsi, mentre l’ingombrante ed esuberante vicino ha ampliato la sua influenza anche in Siria, tanto da un punto di vista territoriale quanto da un punto di vista politico-strategico segnalando la propria indisponibilità ad accettare una Siria “normalmente” armata e sovrana (almeno finché non si capirà quale sarà la politica dei nuovi regnanti di Damasco).
E poi, l’Iran, con le spalle al muro sì, ma che, passata la tempesta, potrebbe tornare a muovere i propri fili nella regione, Libano compreso. Infine, non dimentichiamoci gli storici bizantinismi e i levantinismi del Paese, le sue mafie e le sue eterne e sempre verdi corruttele.
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