RIVISTA ITALIANA DIFESA
Israele e la nuova geopolitica del Medioriente 17/12/2024 | Pietro Batacchi

Si potrà discutere sui metodi – che hanno portato la Corte Penale Internazionale ad emettere un mandato di arresto per crimini di guerra contro di lui – ma i risultati geopolitici ottenuti da Netanyahu sono sotto gli occhi di tutti. Dopo la clamorosa debacle del 7 ottobre, che aveva messo alla berlina il suo deterrente, Israele ha reagito. E lo ha fatto, lasciatemi dire, con razionale irrazionalità, tornando ad essere quel cane pazzo che, colpito con un fucilino a tappi, ti divora.

Tante volte abbiamo parlato della sproporzionalità della reazione di Tel Aviv: sproporzionalità necessaria, appunto, a ristabilire un detererrente messo platealmente in discussione. E così è stato. Israele ha imposto ai suoi nemici un costo insostenibile: Hamas e Hezbollah hanno visto la loro infrastruttura completamente disarticolata ed hanno subito un colpo dal quale non si riprenderanno più, l’Iran ha mostrato tutta la sua impotenza ed i limiti della sua politica di patronaggio, la Siria non c’è più. Insomma, il cosiddetto Asse della Resistenza è stato pesantemente colpito in 2 delle sue diramazioni ed ha visto il venir meno dell’anello di congiunzione centrale, Assad, appunto, la cerniera di quello spazio geopolitico che si estendeva da Teheran a Beirut. Non solo, il messaggio di Israele ai nuovi governanti di Damasco, ed al suo protettore di Ankara, è chiarissimo: non si tornerà più al “gioco” di prima. Un messaggio recapitato in 2 modi: mediante la distruzione dell'infrastruttura del fu Esercito Siriano, che così non passerà di mano, e l’espansione di una zona cuscinetto ad ovest delle Alture del Golan e del Monte Hermon, e a sud verso i confini con la provincia di Deraa.

Il “revisionista” Netanyahu, dunque, ha colto l’opportunità offerta dal 7 ottobre ed ha cambiato la geopolitica del Medioriente modificando lo status quo in accordo ai propri interessi. Lo ha fatto con la forza: esattamente come si faceva ai tempi della politica di potenza. Certo, manca ancora un tassello per completare il disegno, ovvero azzerare il programma nucleare iraniano, ma per quello c’è tempo: vedremo cosa accadrà dopo il 20 gennaio 2025…

È chiaro che tutto quello di cui si è parlato sino ad ora ha un costo. Prima di tutto economico, con i pesanti contraccolpi subiti da un'economia piccola e dinamica come quella dello Stato Ebraico e la sistematica dipendenza dal supporto di Washington, che, però, non verrà mai meno, data la specialità dei rapporti tra i 2 Paesi. Poi c’è la questione della sostenibilità politica di questo disegno: fin dove può spingersi Israele? Quanto a lungo può essere procrastinata la soluzione della questione palestinese? Quanto a lungo possono essere tollerate le colonie illegali in Cisgiordania? Domande, queste, che riguardano certamente la comunità internazionale nel suo complesso, ma, soprattutto, la stessa società israeliana.

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