RIVISTA ITALIANA DIFESA
Riconvertire parte della filiera dell’auto al militare. Una provocazione? 12/12/2024 | Pietro Batacchi

La crisi del settore auto in Europa e in Italia è ormai all’ordine del giorno. È una crisi che ha poco del contingente, e che sembra piuttosto strutturale. Certo, la furia iconoclasta green della Commissione Europea, con la clava del “tutto elettrico” al 2035, ci ha messo del suo, ma c’è anche molto altro, e di più profondo. C’è, innanzitutto, una crisi di prodotto; un prodotto, soprattutto in Europa, poco innovativo e sofisticato e, dunque, meno competitivo; rimasto vittima della trappola della tecnologia intermedia. I numeri sono impietosi: Stellantis, tra il 2021 e il 2024, ha speso circa il 3,8% dei suoi ricavi in ricerca e sviluppo. La ricetta di Carlos Tavares è stata semplice. Investire il giusto, tagliare costi e organici e remunerare lautamente gli azionisti. Così, però, non si fa industria, ma qualcos’altro: i manager e, appunto, gli azionisti, ingrassano, ma i prodotti invecchiano, i mercati si riducono e i lavoratori diminuiscono. Economia senza strategia, in una fase storica che ha disperato bisogno di visione e strategia.

Poi mettiamoci gli shock geopolitici e gli alti costi dell’energia e delle materie prime. Anche in questo caso non siamo di fronte ad una variabile contingente, ma ad fattore che interverrà sul processo industriale come tale pure nei prossimi anni. In Germania, la perdita delle forniture di gas russo a buon mercato ha avuto impatti devastanti su un’industria mentalmente e strutturalmente pesante: la crisi della Wolkswagen è una crisi di sistema industriale prima di tutto; una crisi che ha un impatto forte anche in Italia, dove tutto un mondo imprenditoriale del nord è profondamente interconnesso con l’economia tedesca.

Recuperare il gap perso negli anni è molto difficile, ragion per cui bisogna pensare a delle alternative. In Italia, secondo l’ultimo rapporto di AlixPartners, nell’automotive sono a rischio tra 25.000 e 50.000 posti di lavoro. Pensiamo, dunque, a riconvertire una parte della filiera dell’auto all’Aerospazio e Difesa. Non è una provocazione, ma una valutazione basata sui fatti e sui numeri. Lo scenario internazionale è quello che è, e la forza è tornata a ridisegnarne gli equilibri: il mondo è più pericoloso, c’è bisogno di maggiore sicurezza e gli Stati investono in nuovi sistemi d’arma come garanzia di assicurazione per il futuro. Il trend al rialzo è tale già da 3 anni, ma proseguirà negli anni a venire. La supply chain deve essere, dunque, potenziata, perché l’industria militare è stata ridimensionata dopo la fine della Guerra Fredda e, come dimostrato chiaramente dalle guerre in Ucraina e in Medioriente, con l’attuale struttura non è possibile soddisfare la domanda. Il settore Aerospazio e Difesa è, inoltre, un settore dove conviene investire. È competitivo e innovativo, con produzioni altamente sofisticate, che “reggono” la concorrenza e i mercati, e mediamente dedica a R&D il 10-12% dei ricavi. È un settore dove per ogni euro investito ne ritornano più di 3 come valore economico per tutto il sistema e dove le industrie europee mantengono tuttora un vantaggio rispetto alle concorrenti industrie asiatiche e turche. Va da sé che quella filiera che soffre, e soffrirà sempre più, per la crisi dell'auto, può essere riconvertita a produzioni – dalla componentistica meccanica, ai materiali – utilizzabili anche in campo aerospaziale. Un modo per potenziare la supply chain aerospaziale e per non perdere capacità rischiando la desertificazione industriale.

 

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