
Assad è caduto e l’ex qaedista Al Jolani, redento come fine pontiere-statista, è entrato trionfalmente a Damasco (in foto all'interno della Grande Moschea degli Omayyadi). Il regime e l’Esercito Siriano si sono liquefatti, dopo che per anni erano stati tenuti artificiosamente in piedi da Mosca e Teheran. Si volta pagina, insomma. Una pagina i cui contorni sono difficili da definire.
Le certezze al momento sono solo 2.
La prima. Il cosiddetto Asse della Resistenza è stato spezzato. La continuità geostrategica tra Teheran e Beirut non c’è più. Nel mezzo alla Mezzaluna sciita si è creato un buco. E questo, più che il risultato dell’azione dei ribelli, è il risultato delle iniziative militari di Israele, che ha smantellato l'infrastruttura di Hezbollah e dei Pasdaran in Libano e Siria (Israele che in queste ore sta finendo il lavoro e lanciando messaggi chiarissimi alla nuova Siria). Per Teheran, una perdita secca in termini geopolitici e di influenza che non è compensabile nel breve-medio periodo.
La seconda certezza: anche per Putin la fine di Assad significa una perdita secca di influenza. Che ne sarà delle basi di Tartus e Hmeimim? Che ne sarà dello sbocco sul “mare caldo”? Staremo a vedere: per il momento le installazioni russe sulla costa siriana non sono state toccate. Di sicuro, il crollo del regime ha dimostrato i limiti della garanzia politico-militare russa: con la Guerra in Ucraina che macina risorse, Mosca fatica a mantenere i suoi impegni negli altri scacchieri, che siano il Medioriente piuttosto che il Sahel, dove negli ultimi mesi la ribellione Tuareg sta mettendo alle corde la giunta militare filo-russa in Mali. A differenza di quanto sottolineato a proposito di Teheran, tuttavia, la fine di Assad per Mosca potrebbe essere compensata anche nel breve periodo se gli sforzi per aprire una base a Bengasi, in Cirenaica, dovessero essere coronati da successo. Senza dimenticare i buoni rapporti con i Curdi, che presto potrebbero trovarsi orfani degli Americani.
Per il resto, si naviga veramente a vista.
Il fronte ribelle probabilmente non si aspettava un così rapido crollo del regime e non ne era preparato. Per questo il Primo Ministro Al Jalali è rimasto al suo posto e le strutture amministrative dello Stato non sono state toccate. Poi, ci sono le divisioni interne che, passata la sbornia per la “vittoria”, emergeranno: anzi, in parte stanno già emergendo. Ad oggi è possibile identificare come più strutturati (tralasciando ovviamente gli insorti dell’ultima ora, come i nostri partigiani del 25 aprile mattina…) i seguenti “filoni” della ribellione.
Il primo è quello islamista di HTS (Hayat Tahrir al-Sham), che raggruppa ex qaedisti e salafiti e che ha governato Idlib. HTS ha beneficiato negli ultimi tempi del supporto operativo e d’intelligence della Turchia, ma qual è l’effettivo grado di controllo che Ankara può esercitare su HTS? Lo capiremo presto. Diverso è il discorso riguardante l’SNA (Syrian National Army), ovvero la Fratellanza Musulmana siriana, su cui il controllo di Erdogan è diretto e ufficiale. In queste ore i miliziani dell’SNA, con il supporto dei droni e dell’artiglieria turca, si stanno scontrando con le forze curde dell’SDF (Syrian Democratic Forces) per il controllo della strategica cittadina di Manbij, nel nord del Paese. L’obbiettivo di Erdogan è chiaro: estendere la sua influenza a tutto il nord della Siria, limitando al massimo le dimensioni territoriali del cantone curdo. A proposito di Turchia, se per Putin e Teheran c’è stata una perdita secca di influenza in Siria, per Erdogan, invece, il guadagno è netto. Ad oggi, la Turchia è la vera vincitrice della guerra civile siriana, ma la profondità della sua influenza dipende dal supporto finanziario del Qatar.
Il fronte ribelle, però, non finisce qui. C’è, difatti, quel mondo salafita che non è sotto l’ombrello di HTS e che è riemerso negli ultimi giorni: un filone con tradizionali legami con l’intelligence saudita. Che farà MBS (Mohamed Bin Salman), lascerà la Siria alla Turchia e al Qatar e, dunque, al “nemico dei nemici”, ovvero la Fratellanza Musulmana? Se c’è una cosa rispetto alla quale il legittimismo saudita è inconciliabile, è proprio il “popolarismo elettoralistico” della Fratellanza Musulmana. Se un domani dovessero tenersi elezioni in Siria, infatti, i Fratelli potrebbero fare il pieno.
Poi, il variegato filone localista: clan, tribù, gang, il cui interesse è circoscritto e di natura essenzialmente economico-criminale, e la cui aspirazione è in molti casi sostituirsi alle strutture del regime nel contrabbando di Captagon.
Infine, l’incognita Stato Islamico, che potrebbe rialzare la testa, approfittare del caos e reclutare nuovi adepti nel mondo radicale deluso dal processo di istituzionalizzazione. Non a caso stanotte attacchi aerei americani, che hanno visto l’impiego di assaltatori A-10, cacciabombardieri F-15 e bombardieri B-52, hanno colpito duramente 75 obbiettivi legati all’IS nella parte centrale del Paese.
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