
Donald Trump, parlando ai suoi sostenitori in festa dal Quartier Generale di West Palm Beach, in Florida, si è già proclamato 47° Presidente degli Stati Uniti. Del resto, a questo punto dello spoglio, ci sono pochi dubbi sull’esito del risultato elettorale con Trump che ha già vinto 3 degli Stati in bilico ed è in netto vantaggio anche negli altri. Un’affermazione “magnifica che riporta l’America all’età dell’oro”, come dichiarato dallo stesso tycoon, completata peraltro dalla vittoria dei Repubblicani nelle elezioni per il Senato. Insomma, la rimonta della Harris immaginata dai sondaggi non c’è stata. Noi, francamente, non ci avevamo mai creduto. Troppo debole la candidatura della Harris, a lungo “oscurata” e messa in naftalina dai Democratici per presunta inadeguatezza e poi, con il manifesto crollo cognitivo di Biden, improvvisamente gettata nella mischia. E così, riecco Trump, l’outsider. La guida di quell’America profonda in cui è ormai strutturalmente radicato il sentiment anti-establishment. L’America di quella classe media impoverita che ha patito e patisce l’immigrazione illegale, certi eccessi della globalizzazione e che sente molto lontani i salotti di Washington D.C. e di New York. Quell’America descritta alla perfezione nell’accattivante lessico di “Elegia Americana” il bestseller di J.D. Vance, il candidato Vicepresidente ed una delle chiavi del successo di Trump, insieme ad Elon Musk, il “genio”, come lo ha definito il (quasi) nuovo Presidente, ed ormai il leader indiscusso di un nuovo conservatorismo globale “non convenzionale” che si propaga attraverso i media non tradizionali, a cominciare da X.
E adesso che succede? Innanzitutto, niente panico. La democrazia non è a rischio, tranquilli. Trump è già stato Presidente, e non dimentichiamo la forza dei pesi e contrappesi della democrazia americana. Per il resto, crescerà senz'altro la competizione con gli alleati, ma ciò sta accadendo da anni – vedi Inflaction Reduction Act di Biden. Lo farà probabilmente solo ad un ritmo più sostenuto e con scelte ancor più radicali. Ma il processo e la tendenza sono nelle cose. In politica estera sarà più marcato il supporto ad Israele, e non a caso sono già arrivate le congratulazioni dello scatenato Nethanyau, che proprio ieri ha silurato il Ministro della Difesa Gallant. Ma non sembra proprio che anche la Casa Bianca democratica di Biden abbia mancato in questo: oltre 18 miliardi di armamenti ceduti ad Israele dal 7 ottobre 2023, con un gigantesco ponte aereo e navale passato completamente sotto traccia e che sta consentendo ad Israele di continuare la guerra su tanti fronti. Sull’Ucraina, vedremo se Trump cercherà una qualche forma di accordo per congelare la guerra, può darsi. Ma, anche in questo caso, quali sono le alternative credibili? E’ importante, dunque, che gli Ucraini mantengano un più ampio possibile controllo del Kursk. A Trump piace negoziare.
La sfida più grande è per l’Europa e per noi. La vacanza strategica è ufficialmente finita: l’Europa non ha altra scelta se non potenziare la propria integrazione, in tutti i settori, a cominciare dalla difesa. Gli stati del Vecchio Continente presi singolarmente sono troppo piccoli per reggere alla iper-competizione. E se la vacanza strategica è finita per l’Europa, lo è a maggior ragione per l’Italia: altro che 2028, conteggio delle missioni internazionali, ecc.: il 2% del PIL per la Difesa va speso adesso, senza bizantinismi. Non ce li perdonano più.
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