Molte volte nella storia le grande crisi e i grandi shock hanno generato anche grandi opportunità. È stato probabilmente così anche per il 7 ottobre 2023 con la sorpresa strategica di Hamas.
In pratica, da quel disastro lo Stato Ebraico ha intravisto una grande opportunità, quella di cambiare l’ordine geopolitico della regione rimodellandolo su 2 pilastri: la propria sicurezza e il tipo di relazione, basata su interessi economici e commerciali, creata con alcuni Paesi arabi (Marocco, Bahrein, EAU) nell’ambito degli Accordi di Abramo. Non è un caso che l’operazione che ha portato all’eliminazione di Nasrallah sia stata chiamata NUOVO ORDINE.
Un nuovo ordine, appunto, dove non vi può essere, per gli Israeliani, posto per il cosiddetto Asse della Resistenza guidato dall’Iran degli Ayatollah. E così Israele ha deciso di alzare progressivamente la posta, estendendo la portata e la dimensione della sua strategia militare e mettendo nei fatti Teheran con le spalle al muro. Hamas è stato sostanzialmente distrutto, Hezbollah ha visto il suo vertice politico-militare azzerato e una buona parte della sua infrastruttura logistica e militare smantellata, e pure gli Houthi sono sotto attacco, come ha dimostrato non ultimo il grande attacco di ieri (29 settembre 2024).
Teheran, in altri termini, sta vedendo cadere pezzo dopo pezzo quella struttura regionale di proxies messa in piedi negli ultimi 20 anni. Che fare, dunque? Reagire, nella consapevolezza che la risposta israeliana oltre che sproporzionata sarebbe del tutto imprevedibile, o aspettare, con il rischio di vedere la propria credibilità di patrono regionale evaporare una volta per tutte? Un interrogativo che sta lacerando probabilmente in profondità il complicato sistema di potere della Repubblica Islamica e che potrebbe aprire ulteriori e invitanti prospettive, per Israele.
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