L’Aeronautica ha bisogno di una nuova flotta di rifornitori/trasporti a lungo raggio. Non è una novità. L’esigenza operativa è del 2021. La flotta attuale è rappresentata da 4 velivoli Boeing KC-767A, basati sulla cellula del 767-200ER civile.
Questi aerei non sono “vecchi” e, essendo per di più utilizzati a ritmo “medio” (30.000 ore volo raggiunte nel luglio 2020, 40.000 a ottobre 2023 - quindi “appena” 770 ore/anno per macchina tra il 2020 e il 2023), potrebbero continuare a operare per decenni.
Del resto, basti pensare che il tanker dell’USAF KC-135 è ancora in servizio, quando l’ultimo esemplare di questo storico aereo è stato consegnato nel 1965! L’Aeronautica, però, prevede di mandarli in pensione dal 2035. Perché?
Perché si tratta di un aereo molto particolare, che l’Aeronautica ha ordinato (nel 2002) e messo in servizio (tra 2011 e 2012, dopo un travagliato programma di sviluppo e messa a punto, il che spiega le date appena citate) per sostituire i 4 precedenti Boeing KC-707T/T. Solo il Giappone ordinò a sua volta il KC-767, in 4 esemplari. L’USAF non lo fece. Di fatto, il vero problema del KC-767 è rappresentato dai costi di supporto, non più di tanto dalla difficoltà di manutenzione. Avere un aereo che nessun’altra forza aerea impiega (il Giappone li sta ritirando) può diventare un incubo logistico, ecco perché si è pensato, nel 2022, di programmare il pensionamento anticipato dei KC-767 dopo neanche 25 anni di servizio e neppure frenetico.
L’idea iniziale era in realtà quella di “aggiornare” i 4 KC-767A portandoli allo standard KC-46 dell’USAF (a dimostrazione che le cellule non sono affatto usurate) e potenziare la flotta acquisendo ulteriori 2 aerei, di nuova produzione. Sul fatto che all’Italia serva una flotta più consistente non vi è dubbio, tanto più negli attuali scenari, ma la formula di acquisizione “mista” iniziale si è rivelata impraticabile, perché trasformare 4 KC-767 in KC-46 sarebbe stata una vera impresa, anche antieconomica vista l’impossibilità di beneficiare di economie di scala. Si è quindi passati ad uno schema diverso, che prevedeva l’acquisizione di 6 KC-46 di nuova produzione, mentre Boeing avrebbe concesso uno “sconto”, prendendo in carico i 4 KC-767, che avrebbero avuto sicuramente un buon mercato, vista la domanda di aerocisterne, anche negli USA, dove molti servizi di air refuelling sono appaltati a fornitori privati, in particolare dall’US Navy, che non ha aviocisterne.
Si trattava comunque di un programma da 1,2 miliardi di euro, inclusa la logistica. Un programma che non prevedeva alcuna competizione, bensì un’acquisizione diretta commerciale da Boeing. In effetti, una volta assodato che la “conversione” non era conveniente, sarebbe stato logico indire una bella competizione internazionale, come fanno moltissimi Paesi, in qualche caso persino gli stessi Stati Uniti, per cercare di ottenere il prodotto migliore alle condizioni più vantaggiose. Come ben sappiamo, però, l’Italia raramente è attratta dalle gare “aperte”, sia che si tratti di esigenze per le quali esiste o può essere sviluppato un prodotto proposto dall’industria nazionale, sia che si tratti invece di acquistare da produttori stranieri (in particolare se statunitensi).
Speriamo che anche su questo fronte le politiche di procurement siano, almeno quando non c’è un prodotto di “casa” in lizza, riviste in modo da lasciare che i concorrenti si sfidino e possano proporre le proprie soluzioni, che poi saranno testate e valutate, considerando sia gli aspetti tecnici e operativi che quelli finanziari e industriali.
L'articolo completo, con tutti i dettagli, è pubblicato su RID 10/24 disponibile online e in edicola.
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