L’Iran ha completato i lavori di conversione della sua prima porta-droni SHAHID BAGHERI.
Com’è noto, si tratta della trasformazione di una porta-container da 240 m, con l’adozione di un ponte di volo angolato lungo 170 m e largo 18m e di uno ski jump. Il progetto ha richiesto una ricostruzione completa della nave e i lavori sono proseguiti per oltre 2 anni. In effetti si tratta della prima porta-droni al mondo ottenuta per conversione di una nave mercantile, visto che la turca ANADOLU è stata ottenuta grazie ad un ben più semplice adattamento di una LHD che inizialmente avrebbe dovuto operare con gli F-35B.
La SHAHID BAGHERI dispone presumibilmente di un hangar, pur se non sono stati resi noti dati: alcune foto satellitari della nave ai lavori mostrano una apertura sul ponte lato di dritta, poco più a proravia della sovrastruttura, che sembrerebbe essere destinata ad un ascensore. La zona di poppa può invece essere utilizzata da tradizionali elicotteri, o come piattaforma per lanciare droni e munizioni circuitanti tramite rampe.
Secondo indiscrezioni, la nave dovrebbe essere in grado di impiegare UAV MOHAJER-6 per ricognizione e attacco, comparabili al turco BAYRAKTAR TB-2, mentre l’annunciato utilizzo di modelli di prestazioni più avanzate (ma anche più grandi e pesanti) come lo SHAHED-129 o SHAHED-149, paragonabili rispettivamente agli americani PREDATOR/REAPER (ma con prestazioni chiaramente inferiori), sembra nettamente più problematico.
Altre armi sono ipotizzabili: dai missili balistici FATEH-110 (250 km di gittata), ai missili da crociera TALAEIYEH o QADR-474 (rispettivamente 1.000 km e 2.000 km di gittata), tutti già testati in soluzioni veicolari o containerizzate per l’impiego navale; e, infine, una pletora di droni kamikaze come lo SHAHED-136 (2.500 km) largamente utilizzato dai Russi in Ucraina, il SAMAD-3 (1.200 km) usato dagli Houthi, l’ARASH-2 (2.000 km), oppure l’OMID anti-radiazione derivato dall’israeliano HAROP .
Si tratta quindi di soluzioni che possono rendere la SHAHID BAGHERI una sorta di variante “unmanned” di una portaerei, una porta-droni appunto, fino alla riproposizione di una arsenal ship.
Il primo punto critico della nuova porta-droni riguarda la capacità di fare appontare gli aeromobili con una traiettoria che inevitabilmente porta a sfiorare le sovrastrutture, che sono rimaste quelle tradizionali, per evitare aumenti di costo e di complessità. Si tratta di un’operazione probabilmente possibile in acque ferme e con nave in navigazione a lento moto, magari con l’ausilio di ripetitori GPS e di Intelligenza Artificiale, ma molto più complessa e rischiosa in presenza di moto ondoso, visto che un minimo sfalsamento della traiettoria potrebbe rischiare di portare il drone a collidere con la sovrastruttura. Non si vedono neppure sistemi di arresto che riducano la corsa del velivolo in appontaggio.
L’altro aspetto critico riguarda la capacità di sopravvivere ad un conflitto. Da un lato bisogna considerare la mancanza di corazzatura, di sistemi duplicati, di compartimentazione, tipici di una “vera” nave da guerra, anche se le dimensioni costituiscono di per sé un aiuto importante, rispetto a quanto potrebbe accadere in caso di falla o esplosione sullo scafo di una fregata o di un caccia. Però si deve anche considerare che la nave non dispone di sistemi di difesa aerea, né di contromisure elettroniche. Si potrebbe forse installare sul ponte un sistema antiaereo su veicolo o in contenitore omni-comprensivo, come il KHORDAD-3 (derivato dal BUK-M2, SA-17 GRIZZLY russo) già testato su diverse navi ex-mercantili della flotta dei Pasdaran. Tuttavia basta ricordare la mancanza di un radar di scoperta a lungo raggio, e la dotazione di soli 4 missili, per capire che non si tratta di una soluzione realistica per respingere un attacco “serio”.
Queste considerazioni e queste limitazioni portano inevitabilmente ad una domanda: per quale tipo di missione/scenario è stata realizzata questa nave?
È infatti evidente che non potrebbe sopravvivere ad uno scontro aeronavale, vista la scarsità della difesa aerea, aggravata dall’assoluta assenza di navi-scorta nella Marina Iraniana. Inoltre, i propri droni d’attacco (“kamikaze” o “bombardieri”) non sarebbero in grado di affrontare le difese aeree di un avversario tecnologicamente avanzato, se non con l’impiego coordinato (a sciame) di decine di UAV che probabilmente non potrebbero trovar posto a bordo. Se invece si fossero voluti impiegare droni d’attacco kamikaze (One-Way Attack) o missili con soluzioni containerizzate, sarebbe stato assolutamente inutile affrontare la complessa realizzazione di un ponte di volo angolato e uno ski jump. Queste soluzioni diventano però interessanti contro obiettivi navali o terrestri poco difesi, appartenenti presumibilmente a Stati regionali. In tal caso la nave potrebbe offrire una nuova e inattesa direzione d’attacco a lungo e lunghissimo raggio, con armi che provengono da settori diversi da quelli tradizionali. Si potrebbe forse pensare anche a casi di “plausible deniability” per colpire smentendo di essere i responsabili dell’attacco. Altrettanto evidentemente, in quest’ultimo caso non sarebbe neppure opportuno che i droni venissero recuperati, consentendo a qualcuno di tracciarne il volo, ma sarebbe meglio farli cadere in mare in acque profonde, risolvendo quindi alla radice il problema dell’appontaggio.
Del resto, le prime portaerei britanniche e le escort carrier della 2a Guerra Mondiale erano la conversione di navi pre-esistenti e non costruzioni dedicate. L’entrata in servizio di una porta-droni avrebbe comunque una notevole risonanza mediatica con un elevato valore simbolico. Bisogna anche ricordare che, nonostante sia spesso necessario fare un po’ di prudente tara agli annunci trionfali (ed esagerati), l’Iran ci ha ormai abituato a soluzioni innovative che hanno avuto un certo peso nello sviluppo delle tecnologie militari.