La strategia di portare la guerra a casa del nemico invasore è vecchia quanto il mondo.
Basta ricordare Scipione l’Africano e Annibale, tanto per fare un esempio, per capire il senso strategico dietro la mossa di Zelensky di mandare le sue truppe in Russia, nell’Oblast di Kursk, nome che rievoca il più feroce cozzo di carri della Seconda Guerra Mondiale. E’ chiaro però che si tratta di una strategia di rischio, ovvero una strategia che accetta deliberatamente un rischio molto elevato per puntare ad un risultato altrettanto elevato; esattamente la strategia che attuarono i Tedeschi e Guderian nella primavera 1940 con il Blitzkrieg e la “cavalcata” alla Manica, e che portò ad uno dei più grandi capolavori della storia militare.
Non sappiamo in realtà quali siano i veri obbiettivi di Kiev, ma possiamo ipotizzarne almeno 3: prendere un pezzo di Russia, tenerlo e “giocarlo” ad un futuro tavolo delle trattative, obbligare i Russi a stornare truppe dal Donbas e da Kharkiv e condurre un’azione nel campo informativo.
Sul primo obbiettivo è ancora troppo presto per dare un giudizio. Gli Ucraini hanno approfittato dell’enorme lunghezza di un fronte che non può essere difeso con la stessa densità operativa in tutta la sua estensione: hanno così attuato la sorpresa e sfruttato la debolezza e la discontinuità delle difese russe. Hanno fatto la stessa cosa anche a Kharkiv nell’autunno 2022: sono entrati con piccoli gruppi mobili e il supporto dell’artiglieria di precisione a lungo raggio, fondamentale per scompaginare la logistica avversaria, e poi hanno dato il via libera alle prime unità meccanizzate. In questo modo sono riusciti a costituire un saliente profondo nel suo punto massimo una trentina di chilometri e largo una sessantina, occupando decine di villaggi. Per la sua campagna di Kursk, Kiev ha messo in campo circa 15.000 uomini, compresi alcuni dei reparti tradizionalmente migliori del proprio Esercito, a cominciare dalla 80ª, 82ª e 95ª brigate d’Assalto Aereo. Nei primi giorni la sorpresa è stata totale e l’avanzata molto rapida, da qualche giorno però la spinta si è esaurita ed i Russi hanno ripreso pure qualche villaggio.
Il secondo obbiettivo è stato solo parzialmente raggiunto: Mosca non ha richiamato truppe dallo sforzo principale in Donbas – nell’Oblast di Donetsk, in particolare dai settori di Niu York-Toretsk e Pokrovosk, dove l’avanzata delle forze russe prosegue lenta ma costante – ma hanno, al momento della stesura di queste note, ridispiegato almeno un reggimento dell’810ª Brigata di Fanteria di Marina dal fronte di Kharkiv, ed un reggimento delle VDV dal fronte di Zaporizhia. Tuttavia, un altro aspetto che sembra emergere è che dall’inizio dell’attacco ucraino contro Kursk, l’intensità degli attacchi aerei della VKS nel settore di Kharkiv è drasticamente ridotta: l’abbiamo del resto sostenuto più volte, i Russi non hanno le risorse per stabilire la superiorità aerea in tutto il teatro, ma solo per creare delle “finestre” a geometria variabile a seconda delle dinamica dei combattimenti. Per cui è possibile che il calo a Kharkiv sia dovuto all’aumento dell’attività sul fronte di Kursk. Non solo: gli Ucraini continuano a colpire sistematicamente con i droni depositi di carburante in territorio russo e anche questo potrebbe incidere.
Il terzo obbiettivo è stato raggiunto in pieno. Il Blitzkrieg ucraino è stato accompagnato e coordinato con un’imponente azione nella sfera cognitiva, tesa a ridestare l’attenzione dell’Occidente sul conflitto alla vigilia delle elezioni americane. La leadership di Kiev ha accuratamente selezionato e veicolato i messaggi saturando lo spazio informativo con una narrativa di “conquista” che ha colpito l’immaginario collettivo in Occidente: si può far male ancora ai Russi, dopo il fallimento della controffensiva dello scorso anno e la lunga fase di inerzia favorevole alle forze di Mosca, e si strappa loro una posizione sul terreno da portare ad un futuro tavolo negoziale (probabile in caso di vittoria del ticket Trump-Vance). L’obbiettivo come si diceva è stato conseguito: l’iniziativa di Kiev ha avuto vasta eco sulla stampa occidentale, compresa quella italiana, che non ha mancato di mettere in rilievo la debolezza russa, l’audacia e il coraggio degli Ucraini e il “genio militare” del Generale Sirsky.
Veniamo, invece, alla reazione russa. Mosca si è fatta cogliere di sorpresa: su questo non c’è dubbio. Potrebbero aver pesato ancora una volta i limiti della ricognizione, in particolare satellitare, ma è difficile crederlo completamente. Probabilmente, anche i Russi hanno voluto rischiare confidando su 2 fattori: il terreno e i coscritti. Il terreno, ovvero la profondità strategica, è uno dei fondamentali di potenza della Russia; fondamentale su cui sono state costruite le grandi vittorie contro Napoleone e Hitler. Il nemico trova il “vuoto” della profondità e si logora perdendo progressivamente il suo potenziale militare. La dottrina militare russa si basa tuttora su questo costrutto e così gli Ucraini “entrano”, si allungano e subiscono l’attrito. Le FAB con kit di correzione standoff e gli ISKANDER colpiscono la logistica a cavallo delle aree di confine e nell’Oblast ucraino di Sumy, e in questo modo si prova a spegnere lentamente l’incendio. Quando hai terreno da cedere, lo puoi fare. E poi i coscritti, quelle forze che possono essere utilizzate sul territorio nazionale per proteggere la Grande Madre dall’invasione: è chiaro che si tratta di forze non certo all’altezza di un conflitto convenzionale su larga scala ed è per questo che i giovani coscritti sono inquadrati da personale della Guardia nazionale e degli Akhmat (Ceceni), da VDV e fanteria di Marina e da ex “musicisti” (Wagner). Per il resto ci si affida alla finestra di superiorità locale in termini di potere aereo e alla “solita” artiglieria. Intanto, però, si scavano trincee e difese attorno alla centrale nucleare di Kursk, ancora lontanissima dalla linea del fronte, e lungo l'autostrada E38, e si attende il logoramento del nemico.
Chi avrà ragione: Zelensky o Putin?