Negli ultimi anni il nord Mali e l’intera regione del Sahel sono diventati un autentico “triangolo delle Bermuda” africano. Un luogo ostico e inospitale, dominato dal potere territoriale delle tribù tuareg e delle loro fluide declinazioni insurrezionali, sia indipendentistiche che puramente jihadiste, dove gli sforzi di stabilizzazione del governo e dei suoi partner si sono dimostrati, nel tempo, inefficaci. In tal senso, Europa e, in particolare, Francia, hanno sperimentato direttamente i costi umani e materiali di missioni militari conclusesi senza il minimo raggiungimento degli obbiettivi e con insoddisfacenti ritiri. In ugual modo, tali costi e l’attrito operativo che ne deriva cominciano a pesare su quei soggetti che hanno sostituito i dispositivi militari europei e francesi in Mali e che ambiscono a farlo in tutto il Sahel, vale a dire i “mercenari” del Wagner Group (o Africa Corps), la compagnia militare privata russa che costituisce uno dei tasselli del complesso sistema di penetrazione del Cremlino in Africa.
Un caso esemplificativo di quanto il Sahel e il nord del Mali possano essere un novello “cimitero degli Imperi” è rappresentato dalla recente disfatta degli Africa Corps nella regione di Kidal, roccaforte della potente confederazione tribale tuareg Kel Adagh (“quelli delle montagne”, in riferimento al massiccio montuoso Adrar des Ifoghas), precisamente nel distretto di Tinzaouten, nei pressi dell’omonima città al confine con l’Algeria. Nello specifico, tra il 25 e il 27 luglio, un convoglio formato da unità delle Forze Armate maliane (FAMA) e del 13° distaccamento d’assalto degli Africa Corps ha subito un’imboscata mentre erano in corso attività di supporto alle compagnie già stanziate in alcuni villaggi della regione in preparazione di nuovi assalti agli avamposti ribelli. La battaglia, tra le più feroci dall’arrivo dei “musicisti” (il vezzeggiativo con cui si indicano i membri del Wagner Group) nel Paese nel 2021, si è rivelata una autentica disfatta per le forze governative e i Russi. Infatti, il bilancio stimato è di 70 morti tra i mercenari, di decine di feriti e di un numero ancora imprecisato di rapiti.
Merita particolare attenzione la rivendicazione dell’attacco, effettuata dal Quadro Strategico per la Difesa del Popolo dell’Azawad (Cadre stratégique pour la défense du peuple de l'Azawad, CSP-DPA), organizzazione che riunisce le principali sigle insurrezionali maliane, vale a dire i gruppi tuareg di caste nobili di Timbuctu (Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad, MNLA) e di Kidal (Alto Consiglio per l’Unità dell’Azawad, ACUA), il gruppo tuareg di casta tributaria o vassalla di Kidal (Gruppo di autodifesa tuareg Imghad e Alleati, GTIA) e, infine, quello arabo del nord del Mali (Movimento arabo dell’Azawad, MAA). Tale piattaforma è nata nel 2021 in risposta al colpo di Stato che ha portato al potere il colonnello Assimi Goita e ha riunito organizzazioni un tempo avversarie, con agende politiche diverse, con l’unico scopo comune di opporsi alla giunta militare. Infatti, Il MAA è un gruppo generalmente secolare e moderato e, in passato, ha combattuto anche al fianco dei Francesi e del governo di Bamako contro i tuareg e le milizie jihadiste. Identico discorso per il GATIA, formato da miliziani di tribù di rango inferiore (i Kel Imghad sono “quelli delle capre”) che cercavano nell’appoggio al governo e ai francesi un mezzo per scalare la gerarchia politica nazionale. Più complessa la situazione del MNLA che ha cambiato posizione più volte negli anni, alternando la ribellione al governo centrale a periodi di alleanza con lo stesso e con i francesi in funzione antijihadista e, soprattutto, per contrastare i rivali storici di Kidal. Tali cambi di posizione si sono manifestati anche attraverso le richieste politiche che, nel tempo, sono passate dall’autonomia all’indipendentismo a secondo dei momenti e delle alleanze. Infine, l’ACUA è il movimento armato tuareg più duro, espressione delle caste guerriere e irriducibilmente indipendentista.
A rendere la matassa, soltanto apparentemente, ancora più intricata è stata la presenza, durante l’attacco agli Africa Corps, anche di miliziani del Gruppo per la Salvezza dell’Islam e dei Musulmani (GSIM), il “cartello” jihadista di al-Qaeda attivo nel Sahel all’interno del quale si trova anche Ansar al-Din (I Protettori della Fede), movimento di espressione di alcune tribù tuareg proprio di Kidal. Il leader stesso di Ansar al-Din e del GSIM è Iyad Ag Ghaly, lo “Stratega”, tuareg nativo del villaggio di Abeïbara, nella regione di Kidal. Qualora confermata, tale notizia non costituirebbe una novità sostanziale: infatti, nel fluido quadro della militanza insurrezionale tuareg del Mali settentrionale e di tutto il Sahel, dove i legami tribali e famigliari sono più importanti dei, labili, legami organizzativi, non è affatto raro che combattenti migrino da una milizia all’altra e che piattaforme jihadiste e indipendentiste collaborino frequentemente.
Tuttavia, l’aspetto più interessante è quello che attiene alla grande alleanza dei movimenti ribelli del Mali, sia tuareg che non, sia secolari che jihadisti, in funzione antigovernativa e contro gli Africa Corps russi. Per i gruppi jihadisti, la lotta contro i Russi è un fantastico revival propagandistico della lotta antisovietica in Afghanistan, uno dei principali miti fondativi della militanza islamista violenta radicale globale. Per tutti gli altri, invece, un elemento di sostanziale novità nel pur tradizionale quadro della lotta anticolonialista e antimperialista, peraltro rinvigorita dalla condotta brutale degli Africa Corps e dai massacri ai danni di civili perpetrati a più riprese in Mali.
In ogni caso, a rendere ancora più significativo quanto accaduto in Mali è stata la dichiarazione ufficiale, attraverso le pagine del Kiyv Post, dell’HUR (Holovne upravlinnia rozvidky Ministerstva oborony Ukrainy, Direttorato Principale dell’Intelligence del Ministero della Difesa dell’Ucraina), il quale ha affermato di aver offerto supporto alle milizie tuareg. La presenza di personale ucraino è stata confermata da una foto pubblicata proprio sulle pagine del giornale di Kiev, dove si notavano almeno 2 operatori stranieri in mezzo ad un nutrito gruppo di miliziani locali che esibivano fieramente le bandiere di Ucraina e dell’Azawad, lo “Stato” tuareg. Non è la prima volta che unità delle Forze Speciali di Kiev colpiscono i mercenari russi in Africa: a riguardo, basta ricordare che, dal settembre 2023, gli Ucraini sono presenti in Sudan, dove attivamente combattono contro il Wagner Group. La presenza ucraina in Africa testimonia, da un lato, come la guerra tra Kiev e Mosca sia di natura globale e non limitata al perimetro territoriale europeo orientale e, dall’altro, come l’HUR abbia sviluppato notevoli capacità operative in un teatro così lontano e complesso come l’Africa.
Tuttavia, pensare che gli Ucraini possano operare da soli a queste latitudini è semplicemente...naif, e il pensiero va all’aiuto e al supporto di Paesi terzi, specialmente di quelli che possono vantare una vasta esperienza di combattimento e di intelligence nella regione, contatti ramificati con le tribù, conoscenza del territorio e della geografia umana e, soprattutto, capacità tecnica di osservazione, pianificazione e svolgimento di attività così complesse in Africa. I principali indiziati sono, naturalmente, Stati Uniti e Francia, 2 Paesi che, per ragioni diverse, sono interessati a colpire la Russia, interrompere la sua espansione nel Sahel e provare a recuperare l’influenza perduta. Dopotutto, sia gli Stati Uniti che la Francia non sono nuovi ad operazioni di ingaggio di tribù in quella parte dell’Africa e non sarebbe da escludere a priori una sorta di “Operazione CYCLONE” 2.0 in salsa saheliana (l’Operazione che la CIA, con il supporto dell’ISI pakistano e dei servizi sauditi, organizzò per sostenere i mujahedin che combattevano i Sovietici in Afghanistan). Francesi e Americani hanno mezzi per far male ai Korps: satelliti, soldi, contatti, presenza di operatori sul terreno, zero caveat, ecc. In tale contesto, non è da escludere che, nel prossimo futuro, aumenti il numero e l’intensità di tali attività non convenzionali e ibride contro i Russi in Africa al fine di eroderne l’influenza e alzarne i costi di permanenza.
Per la Russia, il disastro di Tinzaouten rappresenta un danno d’immagine considerevole nella strategia di espansione dell’influenza in Africa. Infatti, il Cremlino ha dimostrato di non riuscire a supportare adeguatamente i governi africani nella lotta all’insorgenza e al terrorismo e, elemento ancora più grave, ad esporsi a considerevoli tassi d’attrito. In tal senso, il “pacchetto Wagner”, vale a dire il modello di penetrazione russa in Africa basato sul supporto militare e politico a giunte militari in cambio dell’accesso a ricche concessioni minerarie, mostra le prime crepe. Uno dei punti di forza del modello è che le giunte africane hanno disperato bisogno di relazioni politico-economiche per evitare l’isolamento e militari per contrastare i movimenti di insorgenza. In sintesi, la mancanza reciproca di alternative, oltre alla tradizionale indifferenza russa nel rispetto dei diritti umani, costituisce la lega che salda tali alleanze di necessità. Tuttavia, se gli Africa Corps non riescono nel loro intento di sbaragliare i ribelli, la ragion d’essere dell’alleanza potrebbe venir meno, spingendo i leader autoritari africani a cercare alternative, magari a Pechino.
Tutto questo è avvenuto mentre, quasi in contemporanea, in Francia una serie di sabotaggi quantomeno sospetti rovinavano la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi e testavano impatti, tempi e metodologie di risposta ad attacchi infrastrutturali. La tipologia di sabotaggio, ben coordinata, lascia pochi dubbi sull’esperienza della mano che l’ha guidato e va sistematizzata con la serie di altri incidenti che hanno colpito altre infrastrutture in Europa, dalla Germania, al Regno Unito, come industrie militari e ospedali. Un sottile filo ro(u)sso potrebbe legarli tutti. Qualora servisse la conferma, il confronto Russia-Occidente, pur non nella sua dimensione convenzionale diretta, è totale e globale.
Seguiteci anche sul nostro canale Telegram.