RIVISTA ITALIANA DIFESA
Le ipotesi sull’eliminazione di Haniyeh e l’attesa risposta dell’Iran 02/08/2024 | Andrea Mottola

Così come nel caso dell’attacco israeliano contro la base aerea di Isfahan dello scorso aprile, esistono decine di ipotesi – e annessa e solita disinformazione/propaganda – che rendono estremamente complessa la valutazione delle modalità d’esecuzione del raid che ha portato all’uccisione del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh. Volendo rischiare di barcamenarsi in un’analisi, si possono quantomeno mettere in grosso dubbio, per non dire eliminare, alcune di tali congetture ed evidenziare gli aspetti più convincenti di altre.

Nel novero delle prime, va inserita, probabilmente, quella ipotizzata dal New York Times, che parla del posizionamento di un ordigno settimane, se non mesi prima, all’interno della camera del Neshat Palace dove alloggiava Haniyeh. Risulta, oggettivamente, difficile dare credibilità a tale ipotesi, considerando che sarebbe stato impossibile conoscere con esattezza e con un anticipo simile l’esatta camera assegnata al leader politico di Hamas in un edificio che ne ha decine distribuite su 5/6 piani. Inoltre, decisioni simili, per la loro delicatezza data dall’importanza del personaggio, vengono prese negli ultimi minuti/ore e, comunque, non prima di una verifica sulla sicurezza dell’alloggio e l’eventuale bonifica da ordigni o elementi pericolosi, anche alla luce del fatto che tale compound viene spesso utilizzato per ospitare alte cariche politiche e militari alleate di Teheran. Al limite, una simile supposizione potrebbe risultare maggiormente credibile se la bomba fosse stata piazzata una volta accertato l’alloggio di Haniyeh, sebbene tale informazione sia conosciuta, verosimilmente, da pochissime persone dei Pasdaran e di Hamas ad alto livello gerarchico (alcuni dei quali, effettivamente, risultano cooptati dal Mossad). Poi, certo, se si vuol dar credito a quanto affermato dai Talebani e dallo stesso NYT, che accusano il leader religioso Ali Khamenei di essere diretto responsabile della morte di Haniyeh, o ad altre voci che parlano del coinvolgimento del neo Presidente Masoud Pezeshkian nell’attentato, tutto è possibile o quasi. Andrebbe, però, spiegato credibilmente a che pro Khamenei o Pezeshkian abbiano agito in tal modo

Altra ipotesi, quella di un attacco aereo effettuato tramite l’impiego di missili balistici lanciati da F-15/F-16 a ridosso dello spazio aereo iraniano (Kurdistan o Azerbaijan, tra 350 e 700 km di distanza) o con ordigni guidati lanciati da distanze decisamente inferiori da F-35I ADIR penetrati in profondità nello spazio aereo iraniano. Operazioni, soprattutto quest’ultima, ad elevato grado di rischio in caso di intercettazione degli aerei e della possibile morte/cattura degli equipaggi e/o rinvenimento di eventuali rottami sensibili, in particolare nel caso degli ADIR.

Non ci è possibile escludere totalmente l’ipotesi di impiego di un vettore balistico aviolanciato tra i vari disponibili nell’arsenale israeliano (BLUE SPARROW, LORA, RAMPAGE o ROCKS), ma a quel punto entra in gioco l’analisi delle immagini della parte dell’edificio colpita e che, sulla base dell’unica immagine più attendibile, risulta incongrua con i danni provocati dal potenziale esplosivo trasportato da questi missili. Considerato, infatti, che tali ordigni sono equipaggiati con testate, esplosive o a frammentazione, variabili tra 100 e 200 kg e che impattano il bersaglio a Mach 3/4, i danni dovrebbero essere decisamente maggiori (edificio livellato o, almeno, l’intero 4° piano distrutto). Certo, potrebbe essere stato impiegato un missile con esplosivo ridotto, ma il suo impatto avrebbe comunque causato più danni rispetto a quelli visibili nella suddetta immagine, anche perché tali armi non dispongono dell’estrema precisione necessaria per centrare una porta finestra ed evitare danni e vittime ai piani superiori e inferiori. Inoltre, un’azione aerea di questo tipo rappresenta un’operazione maggiormente complessa che coinvolge caccia, probabili assetti EW, penetrazione in spazi aerei non alleati e impiego di ordigni a lunga gittata, elementi a cui si aggiunge il già citato elevato grado di rischio.

Alla luce di quanto esposto, quindi, come nel caso dell’attacco contro la base di Isfahan dello scorso aprile, resterebbe maggiormente realistica e credibile un’azione effettuata sul posto con 2-3 micro/mini UAV e/o quadricotteri/loitering (uno per sfondare la porta finestra, probabilmente rinforzata/antiproiettile, e un altro/altri 2 per eliminare il bersaglio) equipaggiati con 5-10 kg di esplosivo e operati da personale Mossad o da combattenti antigovernativi presenti sul territorio iraniano. Del resto, l’impiego in operazioni urbane di piccoli UAV armati rappresenta una capacità israeliana consolidata nelle operazioni volte all’eliminazione di personaggi chiave nelle catene di comando militari e politiche nemiche. C’è da dire, tuttavia, che, sebbene tale modalità garantisca precisione e contenimento dei danni difficilmente raggiungibili da ordigni aviolanciati (bombe o missili balistici che siano), ciò implicherebbe una presenza degli operatori a ridosso o a breve distanza dal bersaglio, esponendoli ad eventuali localizzazioni da parte delle Forze di Sicurezza iraniane. In virtù di tale elemento, possono essere considerate solide e realistiche le ipotesi relative all’impiego di un UAV tradizionale o di una munizione circuitante o, ancora, di un missile anticarro a guida TV/IR SPIKE NLOS (oltre 30 km di gittata e testata da 15/20 kg), tenuto conto che il team responsabile del raid potrebbe utilizzarli a debita distanza mantenendo, quindi, un elevato grado di sicurezza. Del resto, considerando la capillare rete dell’intelligence israeliana in Iran, non dovrebbe essere particolarmente complesso far arrivare un paio di missili pronti all’impiego, piuttosto che inviarne parti per un certamente complesso assemblaggio sul posto. L’unico dubbio relativo all’ipotesi SPIKE NLOS riguarda la quantità di danni arrecati al compound, considerata la testata standard (penetrante, a frammentazione o ad alto esplosivo) che, forse, appaiono leggermente inferiori alla quantità di esplosivo della testata, ma parliamo di elementi difficilmente quantificabili con l’unica immagine a disposizione.

Per quanto concerne la prevedibile risposta di Teheran, è verosimile ritenere che non avverrà in tempi immediati, ma che le modalità potrebbero essere simili a quelle di aprile: missili balistici/cruise e sciami di UAV lanciati dall’Iran e dai suoi proxy regionali - stavolta con il contributo fondamentale di Hezbollah che non aveva partecipato ad aprile - diretti contro obiettivi militari e forse, in questo caso, pure politici, sul suolo israeliano. I piani sono presumibilmente già pronti da mesi, ma la loro attuazione e implementazione – approntamento delle unità missilistiche, comunicazione e coordinamento con alleati, avviso a player regionali o globali (USA, Russia, Turchia, Arabia Saudita) e definizione e pubblicazione NOTAM per citarne solo alcuni - richiede alcuni giorni. È probabile che, anche numericamente, la risposta sarà più “cospicua” rispetto ai 320-330 ordigni vari lanciati nell’attacco del 14 aprile. Tenuto conto del coinvolgimento di Hezbollah con i suoi razzi, c’è da aspettarsi un totale di centinai, se non migliaia, di ordigni. Non uno scherzo, considerando la scarsità di missili intercettori dei sistemi di difesa aerea israeliani dopo quasi 10 mesi di operazioni. D’altro canto, una risposta dura da parte di Teheran risulta necessaria, anche per evitare che le congetture e le voci riguardanti un certo grado di coinvolgimento delle più alte cariche militari e politiche iraniane nell’eliminazione di Haniyeh trovino riscontro.

Ovviamente, le Forze israeliane sono in stato di massima allerta – ormai da mesi – mentre gli alleati hanno incrementato il livello d’attenzione o di approntamento per supportare Tel Aviv nell’intercettazione degli ordigni iraniani. Dalla sera del 31 luglio i velivoli dell’USAF rischierati in Kuwait (Al-Salem) e in Giordania (Muwaffaq al Salti) e quelli della Marina imbarcati sulla portaerei ROOSEVELT in navigazione nel Golfo dell'Oman (verso il Golfo Persico) – con 6 cacciatorpediniere lanciamissili classe BURKE dotati di intercettori antibalistici SM-3/6, a cui va aggiunto il dispositivo anfibio incentrato sulla LHD WASP e su altri 2 cacciatorpediniere BURKE in navigazione nel Mediterraneo Orientale (zona Creta) - sono in allerta e, anzi, hanno già effettuato un paio di raid contro alcuni obiettivi legati alle milizie sciite appartenenti alle Unità di Mobilitazione Popolare irachene nelle aree di Baghdad, Babilonia e Karbala. Nello specifico, sono stati eliminati 3-4 membri di alto grado delle suddette milizie e missili balistici (2-3) pronti ad essere lanciati contro Israele in rappresaglia contro gli attacchi a Hezbollah e contro basi americane in Siria.

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