Molte volte ci siamo soffermati sul can-can di cifre circa la questione del munizionamento, balzata improvvisamente agli occhi di tutti a seguito delle difficoltà che si sono incontrate nel supportare l’Ucraina.
A seguito di dichiarazioni roboanti (non ripercorreremo le cifre che si smargiassavano, sia a livello UE che USA, circa gli incrementi produttivi che si volevano raggiungere nell’arco di pochi mesi), molti passi indietro (i lunghi mesi della cessazione del supporto americano), e qualche iniziativa benefica (quella capeggiata da Praga per l’approvvigionamento di munizionamento di epoca sovietica qua e là per il mondo), assistiamo al momento a qualche bagno di realtà che, purtroppo, conferma le difficoltà occidentali nel ristabilire una capacità di un certo livello dopo 30 anni di oblio.
Cominciamo dagli USA. Essi producevano una media di circa 14.000 proietti da 155 mm il mese nel febbraio del 2022, cifra che, ad ottobre del 2023 era giunta sui 28.000 proietti, con l’obiettivo di arrivare su una produzione media di 60.000 per le mensilità del 2024, 80.000 per il 2025, e 100.000 per il 2026. Ebbene, al marzo del 2024, la produzione è stata… ancora di 28.000 proietti. È d’altronde vero che, per questo maggio, probabilmente si raggiungerà la cifra di 36.000 proietti, perché, a seguito del conclamato ritardo nel raggiungimento dei detti obiettivi produttivi, recentemente l’allocazione di fondi originaria di 3,1 miliardi di dollari è stata aumentata a ben 6 miliardi di dollari, destinati in larghissima parte al potenziamento del noto impianto di Scranton. Ma non solo. Imprese polacche, canadesi e indiane sono state contrattualizzate dal Dipartimento della Difesa, con l’obiettivo di raggiungere capacità persino più ambiziose di quelle delineate in precedenza, riferibili addirittura al conseguimento di livelli produttivi pari a 70.000-80.000 proietti al mese per la fine del 2024, e ai 100.000 mensili entro l’estate del 2025. A occhio e croce ci sembrano obiettivi molto ambiziosi, considerato che, se nel 1992 il comparto industriale della Difesa americano impiegava 3,4 milioni di lavoratori, tale cifra è oggi scesa ai soli 1,1 milioni, compensata solo in parte dall’automazione dei processi produttivi.
Riguardo altri Paesi occidentali, le cifre più consolidate le abbiamo per Canada, Finlandia, Repubblica Ceca e Regno Unito, ciascuno in grado di produrre non più di 20.000 proietti mensili, e per la Germania, oramai vicina a una produzione di 60.000 proietti al mese con l’obiettivo di raggiungere una cifra mensile di 91.000 nel 2027.
Non si dimentichi che tutte queste cifre, anche se venissero raggiunte domani mattina, non potrebbero venire completamente trasferite all’Ucraina, in quanto vi è pure l’esigenza di rimpinguare scorte già “dimagrite” oltre il livello di guardia dai milioni di proietti già consegnati alle forze di Kiev. Ci pare dunque che si sia ancora distanti non soltanto dall’esigenza di circa 7 milioni annui di proietti da 155 mm valutati come necessari all’Ucraina per vincere la guerra, ma anche a quella di 4,2 milioni annui considerati a il minimo indispensabile a garantirle una capacità operativa di sopravvivenza.
Sfortunatamente una situazione simile la si registra con i PATRIOT. Finora Lockheed Martin ha prodotto circa 550 missili all’anno per tale sistema, destinati ad aumentare a 650 entro la fine del 2024. Le batterie ucraine hanno però consumato una media di circa 160 missili ogni mese, la cui esigenza, se perpetuata, si tradurrebbe a una necessità di ben 1.960 missili l’anno. L’Unico altro Paese che produce missili per il PATRIOT è il Giappone (e infatti un piccolo lotto è stato già fornito all’Ucraina), comunque in parte assemblando componenti fornite dalla Lockheed Martin, al quale dovrebbe però aggiungersi a breve anche la Germania: nel contestto dell’iniziativa European Sky Shield Initiative (ESSI), infatti, COMLOG (JV tra MBDA Germania e Raytheon/RTX) ha ottenuto un contratto da 5,6 miliardi dalla NATO Support and Procurement Agency (NSPA) per la fornitura di fino a 1.000 missili PATRIOT GEM-T a diverse nazioni europee (tra cui Germania, Spagna, Romania e Paesi Bassi), nell’ambito del quale è prevista un’espansione della capacità produttiva di missili GEM-T in Europa (nello specifico in Germania). Ma anche mettendo teoricamente assieme l’intera produzione annua americana, giapponese e la futura tedesca, è ben difficile si riesca a raggiungere la copertura della detta esigenza ucraina.
Insomma, da questi 2 soli esempi (prima o poi parleremo anche di carri armati, semoventi, aerei, droni, ecc.) ribadiamo ciò che abbiamo suggerito altre volte: non sarà possibile supportare significativamente l’Ucraina, e nemmeno garantire una ricostruzione delle capacità belliche NATO, senza un concertato sforzo di tipo roosveltiano volto a una politica di riarmo di ampio respiro.
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