RIVISTA ITALIANA DIFESA
L'impatto della campagna ucraina contro l'infrastruttura petrolifera russa 08/05/2024 | Igor Markic

È da qualche mese che l’Ucraina sta conducendo una campagna di attacchi con droni a lungo raggio contro l’infrastruttura POL (Petroleum, Oil and Lubricant) russa e l’afferente architettura di centri di stoccaggio e produzione. Probabilmente detta campagna rappresenta un tentativo di contrasto della crescente pressione dell’Aviazione russa, che quasi impunita regna oramai sulla linea del fronte con le sue tattiche di bombardamenti UMPK. In tal senso, come spesso si dà con le cosiddette strategie d’approccio indiretto, non sta sortendo grandi risultati.

Tuttavia ne sta determinando altri, qualche settimana fa pubblicizzati attraverso fonti stampa, secondo le quali l’Amministrazione USA avrebbe chiesto agli ucraini di porre fine a tale campagna per via degli effetti che essa sortirebbe sui mercati mondiali delle commodities afferenti. Benché tali pressioni non siano mai state ufficialmente confermate (anzi, fonti governative sia ucraine che USA le hanno smentite), è opportuno dare uno sguardo su come si sta evolvendo lo stato delle cose, a fronte dell’ammissione ufficiale da parte di Mosca di oltre una dozzina di raffinerie pesantemente colpite una decina di Oblast del territorio della Federazione Russa.

I prezzi del diesel risultano inequivocabilmente aumentati, sebbene per ora ciò sia percepibile più dal consumatore russo che dai mercati internazionali. Il salto maggiore si è registrato la scorsa settimana, con un subitaneo aumento del 10% a seguito degli importanti danni subiti, quasi in contemporanea, da ben 2 grosse raffinerie in precedenza considerate quasi al sicuro, in quanto localizzate a circa 500 km dal confine ucraino. Tale aumento si assomma a quello del prezzo del petrolio grezzo, che, nell’arco di 6 mesi risulta accresciuto di oltre il 20%.

C’è chi dice che, se si continua così, la Russia potrebbe persino essere costretta, almeno come misura d’emergenza, a importare (specialmente benzina) da riserve bielorusse. Già lo scorso anno Mosca aveva imposto per qualche tempo varie restrizioni alle esportazioni sia di diesel che di benzina a seguito di carenze sul mercato civile interno, il quale, a causa della priorizzazione di tali carburanti raffinati per uso militare, stava vedendo sia il settore agricolo che quello dei trasporti interni in crescente sofferenza. La mossa aveva però creato immediatamente un innalzamento dei prezzi dei carburanti a livello internazionale, generando un traffico illegale verso l’estero di (soprattutto) benzina, che in Russia veniva acquistata da trafficanti vari a prezzi tenuti artificialmente bassi. A fine anno Mosca aveva dunque ripreso le esportazioni di carburante raffinato (essenzialmente verso Paesi sudamericani o nordafricani, sebbene, sorprendentemente, anche verso gli Emirati Arabi Uniti), ma, dal marzo scorso, proprio a causa degli strike in profondità ucraini, sta lentamente ponendo nuove restrizioni: le esportazioni di diesel e benzina relative alla scorsa settimana, difatti, sono risultate ammontare a 712.000 t, a fronte delle 844.000 t dello stesso arco temporale riferito al 2023.

Vedremo nelle prossime settimane se tale trend continuerà: se assommato al peso delle sanzioni internazionali e alla sensibile diminuzione da parte di molte delle nazioni più industrializzate del mondo delle importazioni di carburante raffinato (come anche di petrolio grezzo) dalla Russia, potrebbe in effetti produrre importanti conseguenze a lungo termine sulle capacità russe di finanziare la guerra (mentre ribadiamo che, come quasi tutte le strategie d’approccio indiretto, gli effetti sui campi di battaglia continueranno ad essere minimi ancora per molto tempo).

Mentre la maggior parte dei Paesi occidentali ha smesso di importare carburante russo raffinato come benzina e diesel, gli Emirati Arabi Uniti, insieme a una manciata di nazioni sudamericane e nordafricane, hanno continuato ad acquistarlo o per sfruttare i prezzi bassi o riesportarlo. Ora, Mosca dovrà scegliere tra massimizzare il flusso che riempie la sua “cassa di guerra” o garantire che i suoi soldati e civili possano riempire i loro carri armati e le loro auto.

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