RIVISTA ITALIANA DIFESA
L’evoluzione dei missili antinave russi 24/04/2024 | Massimo Annati

Lo sviluppo dei missili antinave sovietici e poi russi ha seguito una strada nettamente diversa da quella degli analoghi sistemi occidentali. La strategia navale sovietica/russa è sempre stata incentrata sul Sea Denial, ovvero sulla necessità di ostacolare le forze navali della NATO, in particolare quelle statunitensi, senza neppure prendere in esame il Sea Control, e quindi la protezione delle proprie linee di comunicazione marittime, essendo l’URSS una potenza continentale.

La principale minaccia di superficie era ed è costituita dai Task Group incentrati sulle portaerei, capaci di lanciare degli strike convenzionali o nucleari contro il territorio nazionale. Le portaerei statunitensi però sono sicuramente l’obiettivo più pesantemente protetto che abbia mai solcato i mari, e quindi gli strumenti necessari per poterle colpire e affondare dovevano essere necessariamente capaci di prestazioni straordinarie.

La Marina Sovietica è stata di gran lunga la prima, già dal 1955, a sviluppare missili antinave, proprio per tentare di attaccare le portaerei a distanze molto maggiori di quelle che sarebbero state possibili nell’epoca dei cannoni, dei siluri e delle bombe. Anche dopo l’entrata in servizio dei primi missili antinave occidentali (EXOCET nel 1974, OTOMAT nel 1976, HARPOON nel 1977), i missili antinave sovietici hanno continuato a differenziarsi per 3 aspetti specificatamente richiesti per questo tipo di missione: una gittata nettamente maggiore, una testata di grande potenza e una velocità spesso supersonica. La grande gittata avrebbe aumentato la probabilità delle piattaforme di arrivare a distanza di lancio prima di rischiare di essere attaccate dai velivoli imbarcati. La pesante testata esplosiva avrebbe permesso di conseguire un risultato utile contro un obiettivo dotato di un ponte corazzato e comunque intrinsecamente resistente a causa delle grandi dimensioni.

Infine, la velocità supersonica avrebbe svolto un triplice ruolo: da un lato avrebbe aiutato la penetrazione attraverso la cintura difensiva delle navi di scorta grazie ai minori tempi disponibili per la reazione; dall’altro il tempo inferiore tra il lancio e l’obiettivo avrebbe consentito di ridurre l’area di ricerca in cui il missile avrebbe dovuto utilizzare i propri sensori per individuare il bersaglio e attaccarlo; e ultimo, i Russi hanno spesso evidenziato come l’energia cinetica di un missile supersonico di grandi dimensioni contribuirebbe notevolmente alla sua capacità distruttiva, in aggiunta alla letalità della testata esplosiva. Per quanto riguarda la letalità è comunque bene sottolineare che il peso delle testate esplosive convenzionali russe, compreso tra i 450-500 kg e i 900-1.000 kg, non trova alcun paragone in Occidente, dove i missili antinave hanno testate dell’ordine di 150-220 kg. Solo i futuri missili statunitensi Long Range Anti-Ship Missile (AGM-158C LRASM) e Maritime Strike TOMAHAWK (TOMAHAWK Block 5A) avranno una testata da 450 kg. Inoltre, tutti i missili antinave sovietici e russi (con sole 2 eccezioni) hanno la possibilità di montare testate nucleari, capacità che nessun missile antinave occidentale ha mai avuto.

L'articolo completo è pubblicato su RID 5/24, disponibile online e in edicola.


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