RIVISTA ITALIANA DIFESA
Israele attacca l’Iran a Damasco 02/04/2024 | Andrea Mottola

Nel pomeriggio di ieri, 1° aprile, un’esplosione ha interessato l’edificio che ospita la residenza dell’Ambasciatore iraniano nel quartiere di Mezzeh, a Damasco.

Secondo la nostra valutazione è possibile che nell’attacco, effettuato dall’Aeronautica Israeliana, siano stati impiegati i razzi balistici aviolanciati RAMPAGE – derivati dai proietti d’artiglieria EXTRA – il che renderebbe improbabile l’utilizzo di cacciabombardieri F-35I ADIR, come da alcuni ipotizzato, in favore degli F-16D/I che rappresentano la piattaforma principale per tali ordigni (più rari gli impieghi da F-15), sebbene la loro integrazione sugli F-35 (solo su attacchi esterni, considerati i 4,7 m di lunghezza del missile che ne impediscono l’alloggiamento nelle baie armi) non possa essere totalmente esclusa.

Tuttavia, la precisione dell’attacco, nonché l’area abbastanza circoscritta dei danni agli edifici vicini in un’area densamente popolata (a meno di 10 m c’è l’ambasciata del Canada), potrebbe far pendere la bilancia verso l’impiego di ordigni guidati “plananti” JDAM-ER, dotate di testate meno potenti rispetto ai RAMPAGE (85/90 kg contro i 140/160 kg dei missili). In entrambe le ipotesi, F-16 + RAMPAGE o MK.82 con kit JDAM-ER, oppure F-35I + JDAM-ER, è probabile che i cacciabombardieri israeliani abbiano seguito la rotta “mediterranea” costeggiando il Libano e penetrando quanto bastava nello spazio aereo libanese per portarsi a distanza di lancio degli ordigni (75/80 km nel caso delle JDAM-ER, oltre 200 per i RAMPAGE), sulla falsariga di quanto già avvenuto frequentemente in passato, anche recentemente nel caso dei raid avvenuti tra il 25 e il 29 marzo, durante i quali l'Aeronautica Israeliana ha eliminato diversi membri della Quds Force iraniana (i Pasdaran che operano all’estero) a Deir Ezzor, tra cui un comandante di battaglione (Behrouz Vahedi), oltre a numerose basi delle milizie sciite irachene Kataib Hezbollah e diversi depositi di armi ed edifici situati vicino all'aeroporto di Aleppo, al-Safira e Kafr Dzum. Tuttavia, nel caso di un impiego degli F-35, potrebbe essere stata utilizzata la rotta “giordano-irachena” - con penetrazione più spinta nello spazio aereo siriano sud orientale, sfruttando le capacità di bassissima firma radar dei LIGHTNING II - anche questa utilizzata in passato.

Tornando al raid su Damasco, la struttura colpita, secondo fonti israeliane, è stata frequentemente utilizzata per ospitare alti ufficiali della Quds Force durante la loro presenza in Siria. Proprio questo elemento spiega l’attacco israeliano, le cui tempistiche sarebbero state propizie per la contemporanea presenza di gran parte della catena di comando responsabili delle operazioni in Siria, Libano e Iraq dei Guardiani. Tra le 11 vittime ci sono il Gen. Mohammad-Reza Zahedi, Comandante delle operazioni siriane dei Quds - probabilmente l'obiettivo principale dell'attacco aereo israeliano - il suo vice Gen. Mohammad-Haji Rahimi responsabile delle attività in Palestina, il Gen. Hossein Amanollahi Capo di Stato Maggiore dei Pasdaran in Libano e Siria e Seyyed Mehdi Jalalati, uno degli ufficiali di Comando delle unità siriane IRGC, più un paio di membri anziani delle milizie sciite iracheno-siriane. Al contrario, l’Ambasciatore Hossein Akbari e la sua famiglia sono rimasti illesi, un elemento da ricondurre più ad una precisa scelta israeliana che ad una fatalità – il palazzo è stato colpito alcuni minuti dopo che diplomatico e famiglia lo avevano abbandonato -   il che confermerebbe una pianificazione minuziosa del raid, nonché un’ottima intelligence (HUMINT, più che di genere “tecnologico”) sul posto. Una scelta, probabilmente fatta per evitare vittime non considerate pericolose da Tel Aviv e Gerusalemme, e anche per evitare nuove condanne da parte della comunità internazionale.

Nonostante tale “accorgimento”, è molto probabile che nelle prossime ore ci sarà una risposta forte di Teheran, verosimilmente con l’aiuto dei fedeli proxy libanesi e iracheni e tramite piogge di razzi, UAV e cruise su Israele. Colpire una sede diplomatica, infatti, corrisponde ad un attacco diretto su quello che nel diritto internazionale viene considerato “territorio sovrano”, elemento che non può essere trascurato da Teheran nella valutazione e nella proporzionalità della sua risposta, non solo per una semplice questione di rivalsa, ma anche per mantenere un certo grado di credibilità. Qualcosa che, in parte, fu già sperimentato nel gennaio del 2020 dopo l’uccisione del Gen. Soleimani, quando l’Iran attaccò le basi americane in Iraq, attacchi certamente “moderati” ma in quel caso, nonostante l’importanza ricoperta dal Comandante in Capo dei Guardiani, mancava il fondamentale elemento di “sovranità territoriale” precedentemente citato.

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