
Dati più accurati stanno emergendo sul grande attacco iniziato alle 22:00 circa del 28 dicembre, e che si è dipanato fino a gran parte del giorno successivo durando circa 18 ore. È opportuno riepilogarli, in quanto consentono alcune rilevanti considerazioni.
L'attacco è consistito in diverse ondate di droni SHAHED, per un totale di 36 aeromobili. L’ammontare principale degli ordigni, però, ha riguardato 126 fra missili da crociera rilasciati da bombardieri strategici fuori dal territorio ucraino, missili balistici lanciati da terra (fra cui S-300/S400 adattati all’impiego superfice-superfice), e missili ipersonici (fonti che parlano di 122 missili non tengono da conto di 4 missili lanciati nel pomeriggio del 29 dicembre). La difesa aerea ucraina è riuscita a intercettare 27 droni e 87 missili (fonte, Aeronautica Ucraina), il che significa quindi che almeno 9 droni e 39 missili sono riusciti a colpire obiettivi in tutto il Paese; forse… anche quando non abbattuti, droni e missili russi continuano ad essere piuttosto imprecisi. In proposito affermiamo subito che dati circa obiettivi militari o strategici eventualmente colpiti non sono disponibili (la censura militare è rigorosa da questo punto di vista, ragion per cui bisogna spesso ricorrere a fonti russe o "terze").
In ogni caso, vittime e danni sono stati segnalati a Kiev, Leopoli, Kharkiv, Dnipro, Zaporizhzhia, Odessa, Konotop (Oblast di Sumska), Novomoskovsk (Oblast di Dnipropetrovsk) e Smila (Oblast di Cherkaska). Le cifre esatte delle vittime e le valutazioni dei danni sono ancora da determinare con certezza, poiché le operazioni di ricerca e soccorso risultano tuttora in corso. Al momento si parla di 29 vittime civili, a cui vanni aggiunti 157 feriti.
I dati certi (ma non ancora completi) che si hanno circa perdite e danni sono per ora i seguenti:
- Leopoli: un morto e 30 feriti. Danni su 18 case e 4 istituti scolastici, con il quartiere Sykhivskyi particolarmente colpito;
- Kiev: 9 morti e 30 feriti. Danni su diversi condomini, magazzini, un centro commerciale, la stazione della metropolitana Lukianivska e tre impianti di distribuzione del gas (la cui fornitura comune non è stata interrotta). Particolarmente colpiti sono stati i quartieri Sviatoshynskyi, Podilskyi, e Shevchenkivskyi;
- Smila: 9 feriti. Danni su 59 case;
- Konotop: 2 feriti. Imprecisato numero di edifici residenziali danneggiati;
- Kharkiv: 3 morti e 13 feriti. Danni su ospedali, scuole, edifici residenziali, un ufficio postale e diverse imprese manifatturiere. Sono state registrate interruzioni nella fornitura di energia elettrica;
- Dnepro: 5 morti e 28 feriti. Danni su un centro commerciale, un edificio residenziale e un ospedale per la maternità;
- Novomoskovsk: 2 feriti;
- Zaporizhzhia: 8 morti e 13 feriti. Danni su diversi impianti industriali e un edificio residenziale;
- Odessa: 4 morti e 15 feriti. Danni su scuole, una chiesa, negozi ed edifici residenziali.
I dati certi (questi, invece, probabilmente completi, fonte sempre Aeronautica Ucraina) che si hanno circa le intercettazioni sono i seguenti:
- SHAHEDS: 36 (27 abbattuti);
- Kh-101/555: 90 (87 abbattuti);
- Kh-22/32: 13;
- S-300/S-400: 19;
- KINZHAL: 5;
- Kh-31/59: 5.
Ai margini dell’episodio, va segnalato come il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate polacche, Generale Wieslaw Kukula, abbia reso noto che, durante l’attacco, un missile russo sia entrato per un breve tempo nello spazio aereo polacco, sorvolando il paese di Dolhobyczow nel Voivodato di Lublino, a meno di 5 chilometri dal confine ucraino. Vale la pena di ricordate come, in precedenza, un S-300 della difesa aera ucraina abbia colpito il paese di Przewodow (uccidendo due persone), nel sud della Polonia, nel novembre del 2022, mentre un missile russo sia caduto su un’area boschiva vicino a Zamosc, nel Voivodato di Lublino, ad aprile del 2023.
L’attacco è stato il più grande e complesso finora portato a termine dalle forze russe, surclassando il precedente “primato” del novembre 2022, quando si ebbe un attacco che riguardò 96 missili (nel 2023 il record era stato invece relativo all’episodio del 9 marzo, che vide coinvolti 81 missili).
Il 68,67% degli ordigni lanciati è stato abbattuto, dato in controtendenza rispetto ad una media dell’oltre il 90% relativa alle ondate di attacchi degli ultimi mesi (fonte Aeronautica Ucraina). Queste, però, erano state condotte quasi completamente con droni (assai più facili da abbattere rispetto ai missili), mentre, come si è sopra illustrato, nel caso in oggetto essi hanno rappresentato la minoranza degli ordigni utilizzati. Dei missili impiegati soltanto i Kh-101/555 sono stati abbattuti (nonostante essi siano stati migliorati mediante il conferimento di possibilità di rilascio di sistemi d’inganno, evidentemente inefficaci, in forma di flares, e, forse, chaff), mentre non risultano intercettazioni di Kh-22/32, S-300/S-400, KINZHAL e Kh-31/59. Seppure con notevoli difficoltà, essi, durante le campagne missilistiche di molti mesi fa, venivano talvolta intercettati. Evidentemente, la portata numerica del totale assoluto dei veri modelli di ordigni impegnati nell’attacco in questione è stata in grado di travolgere le possibilità fisiche di fuoco da parte delle batterie contraeree ucraine.
Non troppo sorprendentemente, non sono stati utilizzati missili da crociera KALIBR lanciati da navi o sottomarini, cosa con tutta probabilità dovuta alle note problematiche che la flotta russa del Mar Nero sta affrontando (sembra anzi confermato che, a seguito dell’ennesima nave russa distrutta recentemente nel porto di Feodosia, si sia determinato il pressoché totale abbandono dei porti crimeani da parte di detta flotta, che sta salpando alla volta dei porti della costa russa sul Mar Nero). Piuttosto, è stata l’Aeronautica Russa la protagonista dell’evento. Almeno 18 bombardieri Tu-95MS BEAR-H, insieme a bombardieri Tu-22M3 BACKFIRE-C, risultano aver lanciato, rispettivamente, i Kh-101/555 e i Kh-22/Kh-32, mentre per il rilascio dei missili ipersonici KINZHAL sarebbero stati coinvolti 5 MiG-31K FOXHOUND provenienti, per la prima volta in assoluto, dalla base aerea di Mozdok nell’Ossezia del Nord, dove era noto fossero stati schierati sin da metà dell’ottobre scorso. Da notare come i BEAR abbiano trasportato 5 missili ciascuno, al confronto con la media di 2 osservata precedentemente, segno che le macchine non siano così usurate come qualche commentatore ha in passato riportato. È possibile, in tal senso, che l’accennata lunga pausa nell’impiego di missili osservata dai Russi sia da imputarsi, fra le altre cose, a qualche vasto programma di refitting attuato sulle più pregiate piattaforme di lancio.
L’Ucraina (e non pochi analisti) si stava preparando da tempo per un’offensiva aerea invernale su vasta scala. Ci si aspettava che le infrastrutture energetiche del Paese fossero l’obiettivo principale, a similitudine di quanto avvenuto lo scorso inverno.
In tal senso, ci si attendeva un primario utilizzo di droni SHAHED, in quanto per molti mesi, come già detto, i missili erano stati usati piuttosto raramente, suggerendo una diminuzione di scorte non sufficientemente ripianate da nuove produzioni perché, queste, ostacolate da sanzioni non solo di natura economica, quanto anche in termini di embarghi tecnologici e materie pregiate (quali terre rare per le componenti elettroniche).
Le ondate di attacco occorse dai primi di dicembre fino a 2 giorni fa, coinvolgenti assai minori numeri di ordigni (nonché raramente più di uno o due Oblast), sembravano confermare questa tendenza, in quanto, per l’appunto, condotte principalmente con l’uso di SHAHED, sebbene un totale di 19 missili fosse stato parimenti utilizzato con una media del 10% nel rapporto missili/droni per ciascun attacco. È probabile che queste piccole ondate, che sono occorse di volta in volta per tutto il Paese, avessero la finalità di mappare l’architettura ISR della difesa aerea ucraina in vista del grande attacco che poi si è avuto. Dette ondate, difatti, sono stati così ravvicinate (quasi giornaliere, mentre nei mesi precedenti si avevano in media ondate di attacco ogni due-quattro settimane) allo scopo di prevenire il rischieramento di radar e batterie contraeree fra un’ondata e l’altra, cosa che gli Ucraini hanno sempre attuato proprio allo scopo di prevenire una continuamente aggiornata loro mappatura da parte dei Russi.
In ogni caso, ora il grande interrogativo è relativo al fatto se i Russi abbiano effettivamente accumulato/prodotto scorte di missili tali da mantenere un rateo di attacchi di questa entità per un lungo periodo, oppure se l’episodio in questione abbia costituito più una rabbiosa isolata risposta a una serie di imbarazzanti rovesci la Russia ha patito nelle ultime settimane (abbattimento simultaneo di un numero senza precedenti di aeroplani, l’accennata distruzione di una nave, attacchi di droni ucraini nel territorio stesso della Federazione Russa, ecc.).
Con quali obbiettivi?
L’evento in oggetto non offre grandi indicazioni, se non che la rete elettrica non sembra essere più d’interesse, altrimenti non si vede perché i russi non abbiano aspettato che le temperature scendessero sotto lo 0° per lanciare un’ondata così impressionante. Inoltre, essi hanno senz’altro compreso l’impossibilità di mettere al buio una nazione grande come l’Ucraina (l’anno scorso, i blackout non hanno mai riguardato più del 30% dell’utenza, e solo per pochi giorni), tanto più che la società ucraina è ora più preparata a fronteggiare una campagna aerea del genere (i generatori elettrici sono oramai così diffusi da essere divenuti quasi un elettrodomestico…).
Nemmeno il collegare l’evento in questione alle festività natalizie e/o del nuovo anno sembra un’ipotesi convincente: non si capisce perché la società ucraina dovrebbe essere soggetta a maggiori probabilità di andare incontro a fenomeni di demoralizzazione se le loro abitazioni, scuole, i loro business ecc., vengono distrutte a dicembre invece a che a febbraio, o marzo… anzi, attacchi del genere di solito suscitano non solo revulsione nell’opinione pubblica, ma anche nuove speranze, perché a livello internazionale seguono ondate di indignazione che portano a nuovi impegni di aiuti proprio quando questi sembravano scemando. È accaduto puntualmente anche in questo caso, ad esempio con il Primo Ministro Britannico che ha immediatamente promesso nuovi impegni nella fornitura di materiale contraereo.
Un’ottica di campagna di “terror bombing” classico contro i civili allora? Valgano le considerazioni appena espresse, tanto più che i civili non sembrano essere stati affatto l’oggetto primario dell’attacco, altrimenti questo non sarebbe avvenuto, per la gran parte, durante le ore di coprifuoco. Le pur dolorose perdite che si sono registrate, in realtà, e come in innumerevoli altre similari occasioni, sono state determinate da una combinazione di effetti collaterali quali:
- il (ben noto) esteso CEP della maggior parte degli ordigni impiegati;
- le manovre di cambiamento di traiettoria sia da parte dei missili intercettori che di (alcuni di) quelli intercettati;
- rottami (e, non di rado, testate) di ricaduta risultanti dalle intercettazioni stesse.
E quindi?
Quindi l’unica ipotesi plausibile (corroborata da taluni ingaggi di cui abbiamo dato conto nel pezzo a fianco) è relativa al tentativo russo di distruzione degli impianti industriali e di elementi supply chain di ogni tipo relativi allo sforzo bellico (più ovviamente infrastrutture militari propriamente dette). Essi si ritrovano in tutte le città ucraine colpite, e non solo nei quartieri industriali, dal momento che un gran numero di imprese precedentemente operanti in ambito civile oggi sono in qualche modo impegnate dualmente anche nella produzione di materiale ad uso bellico (si pensi ai droni, ad esempio, o all’industria delle radiocomunicazioni, digitale, e dell’elettronica di precisione, molto sviluppate in Ucraina).
Concludiamo ripetendo: al momento non è possibile valutare quanti degli ordigni non intercettati siano davvero riusciti a colpire, e con quali effetti, obiettivi di chiaro valore strategico come quelli appena descritti.