RIVISTA ITALIANA DIFESA
Gaza, gli Israeliani stringono il cerchio, ma si prospetta lo scenario peggiore con il triplo fronte 07/11/2023 | Pietro Batacchi

Dopo 11 giorni dall’avvio delle operazioni terrestri, le forze israeliane hanno completato la manovra per tagliare in 2 la Striscia di Gaza, raggiungendo la costa a sud del sobborgo meridionale di Gaza City di Zeitoun.

In questo modo le IDF hanno separato il “quadrilatero” Gaza City, Beit Lahia, Beit Hanoun, Jabaliya dal resto della Striscia. Parallelamente, stanno cercando di accerchiare Beit Hanoun, entrando nel “vuoto” tra questa e Beit Lahia,e di stringere il cerchio sulla stessa Gaza City attraverso 2 assi principali: il primo, lungo la costa, in direzione sud verso il campo di Al Shati e in direzione est verso l’agglomerato urbano di Gaza City provando a prendere piede nei quartieri di Al Moqaisi e Sheikh Radwan. Il secondo asse è quello a sud di Gaza City, dove le IDF stanno cercando di consolidarsi nei sobborghi meridionali di Zeitoun e Tal El Hawa. Qui al momento si registrano i combattimenti più duri con i gruppi palestinesi che sfruttano ampiamente il sistema dei tunnel e le macerie provocate da 4 settimane di intensi attacchi aerei – che hanno provocato a Gaza una distruzione mai vista prima – per condurre imboscate e azioni mordi e fuggi con lanciagranate e armi leggere.

Una strategia efficace che sta imponendo un certo attrito, con una quarantina di caduti e oltre 300 feriti tra le fila dell’Esercito Israeliano. In taluni casi, le forze israeliane sono state costrette a “interrarsi” creando con il Genio apprestamenti difensivi e punti di fuoco per proteggersi dal tiro dei mortai e dei missili controcarro dei miliziani. In pratica, le IDF sono ancora impegnate a consolidarsi nei “vuoti” e nelle cinture non urbane e si limitano ad una serie di azioni nelle periferie, agendo in maniera molto lenta e metodica per preservare il più possibile le forze. Chiaramente stiamo parlando delle operazioni convenzionali, poiché forze speciali, commandos e Shin Bet agiscono sin dall'inizio dell’Operazione SPADE DI FERRO nella profondità delle aree urbane con raid mirati: si cercano gli ostaggi, si guidano gli attacchi aerei e si eliminano i caporioni di Hamas e Jihad Islamica.

Se l’offensiva terrestre a Gaza procede lentamente e il secondo fronte con il Libano per ora mantiene i crismi di conflitto a bassa intensità, il terzo fronte in Cisgiordania è sempre più caldo. Qui tutti i giorni si combattono battaglie tra miliziani palestinesi e Polizia ed Esercito israeliani: l’epicentro è il “triangolo” Jenin, tradizionale roccaforte della militanza palestinese, Tulkarem, assediata da 3 giorni, Nablus, ma le violenze stanno interessando la gran parte delle città della Cisgiordania. Violenze che sono di un'entità tale da costringere gli Israeliani a impiegare su larga scala l’Esercito e a ricorrere a strike aerei e con droni, e pure all’artiglieria e alle loitering munitions: secondo fonti del Ministero della Sanità palestinese, dal 7 ottobre in Cisgiordania sono state uccise 163 persone. La “resistenza” palestinese è affidata solo in parte alle diramazioni locali di Jihad Islamica e Hamas mentre il grosso “grava” su sigle e gruppi spontanei proliferati a partire dal 2021 in barba ad un controllo del territorio che Al Fatah, con il suo braccio armato delle Brigate Martiri di Al Aqsa, e l’ANP non esercitano sostanzialmente più. Ecco, dunque, le giovani generazioni arrabbiate e senza prospettive che hanno dato vita a nuove realtà come la Tana dei Leoni, la Brigata Jenin e la Brigata Balata. Una galassia “spontaneista” che però nell’ultimo anno ha visto aumentare il proprio consenso e infoltirei propri ranghi, drenando importanti risorse agli Israeliani.

In definitiva, ciò che si sta profilando davanti ad Israele è uno scenario con un triplice fronte: la guerra totale a Gaza, il conflitto strisciante a bassa intensità a nord con Hezbollah (quest’ultimo dissuaso dal giocare la carta dell’escalation per via del massiccio dispiegamento americano nell’area...) e la guerra di guerriglia in Cisgiordania. Uno scenario molto costoso e che potrebbe richiedere molto tempo prima di un riassestamento. E le 2 variabili sono intimamente collegate: mantenere a lungo oltre 300.000 riservisti mobilitati, togliendoli alle normali attività economiche, costa molto, così come costa molto il consumo di munizionamento, e il consumo e l’usura dei mezzi, e pure il supporto delle unità impegnate in combattimento. Insomma, ad un certo punto per Israele potrebbe diventare insostenibile proseguire con un impegno militare così gravoso, considerando che l’alleato americano deve continuare anche a supportare l’Ucraina e a non abbassare l’attenzione in Asia-Pacifico, per evitare spiacevoli sorprese, senza dimenticare la profonda spaccatura nel Partito Repubblicano e l'enorme questione del debt ceiling.

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