
Nel mese di agosto il Governo ha esercitato la delega prevista dalla Legge 119/2022 ed è stato depositato in Parlamento il decreto legislativo con il quale lo stesso Governo ridetermina a 160.000 effettivi gli organici delle Forze Armate; una soglia da conseguire entro il 2034 e frutto della riduzione a 150.000 unità prevista dalla precedente Legge Di Paola (Legge 244/2012) più l’incremento di 10.000 inserito nella L 119/2022 e oggetto della citata delega.
Il Decreto, tuttavia, non dà nessuna disposizione in merito alla seconda parte oggetto della citata delega, ovvero l’istituzione di una Riserva di 10.000 uomini e donne. Il motivo, l’assenza di copertura finanziaria. In un disegno di legge del 20 luglio è contenuta a tal proposito un’ulteriore delega al Governo per adottare un nuovo decreto entro 24 mesi dall’adozione del provvedimento per, evidentemente, dare sostanza anche alla formazione della Riserva. Insomma, per un bel po', niente Riserva.
Alla fine, quella che ne esce è una riforma abbastanza rabberciata, figlia di 2 Governi e 2 legislature, che di fatto istituisce il modello a 160.000 uomini che entro il 2034 andrà a soppiantare il Modello Di Paola a 150.000. I 10.000 effettivi in più, come esplicitato nella L119, riguarderanno “personale militare altamente specializzato nei settori tecnico-logistici e sanitario”. Nel decreto legislativo agostano, il Governo determina anche la partizione degli organici: 93.100 unità per l’EI, 30.050 per la MM e 36.850 per l’Aeronautica Militare.
La cosa curiosa è che la tabella organica 2023 parla di circa 163.000 (con oltre 40.000 marescialli...) effettivi, quindi da questo punto di vista non cambierà pressoché nulla: le richieste delle Forze Armate non vengono sostanzialmente soddisfatte, mentre ci sarà solo un incremento delle spese per il personale visto che queste sono tornate a crescere già negli ultimi 2-3 anni e i risparmi della Di Paola sono ormai andati. In più avremo un organico ancora più anziano; basta guardare ai numeri. Il Modello a 150.000 prevedeva 40.670 sottufficiali (di cui 18.500 marescialli) e 91.030 volontari; nel Modello a 160.000 i sottufficiali sono 46.659 (21.625 marescialli) e 92.700 volontari. In pratica, l’incremento di 10.000 uomini “premierà” in percentuale più le posizioni “anziane” di quelle “giovani”.
A ciò bisogna aggiungere la questione del 2% del PIL per le spese militari. Nella scorsa legislatura la data per il conseguimento di questo risultato era stata fissata al 2028. Formalmente non è stata spostata e pure la Sottosegretaria alla Difesa Isabella Rauti a IDEX lo scorso febbraio ce l’aveva confermata. Le recenti parole del Ministro Crosetto sulla questione hanno dato tuttavia adito ad un certo pessimismo, anche perché il quadro macroeconomico sta peggiorando (la guerra pesa...per tutti!). Si va dunque incontro ad un rischio che nel medio-lungo periodo potrebbe risultare molto grave per la nostra macchina militare. Ovvero uno scenario “flat” o di limitata crescita del bilancio della Difesa che potrebbe essere “consumato” da inflazione, shock vari e crescita dei costi del personale; il tutto a danno dell’ammodernamento, ma soprattutto, dell’esercizio che, come ci ha insegnato la Guerra in Ucraina, è fondamentale per la resilienza di uno strumento militare credibile in temi di competizione permanente e guerre.
In questo contesto è necessario che si apra un dibattito vero, empirico e solido sulle spese militari, sul ruolo dell’Italia nel mondo, sugli interessi materiali e oggettivi del nostro Paese, ecc. ragionando su una riforma vera e lasciando il resto ai chiacchiericci da ombrellone.
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