
Mentre la situazione in Niger si fa sempre più instabile, crescono le speculazioni su un possibile intervento militare da parte dell'ECOWAS (Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale) o di potenze occidentali come Francia, Stati Uniti e Italia, al fine di ripristinare l'ordine e reinsediare il presidente Bazoum. Un possibile intervento militare aprirebbe evidentemente scenari molto complicati, dunque, è necessario percorrere tutte le vie diplomatiche possibili per scongiurarlo, trattando a oltranza con i militari e andando incontro alle loro richieste (per quanto possibile). La posta in gioco, come in tutti i conflitti africani, è etno-tribal--economica: per cui un accordo si può ancora trovare.
Se, però, una soluzione diplomatica non arriva prepariamoci al peggio, con 2 opzioni: un intervento militare dell’ECOWAS o un intervento militare occidentale che coinvolga principalmente Italia, Stati Uniti e Francia.
La prima richiama inevitabilmente gli anni ‘90 e l’intervento in Liberia, quando le truppe dell'ECOWAS, guidate dalla Nigeria, interferirono per porre fine alla guerra civile. L’operazione fu un totale disastro: la guerra civile, una delle più feroci di tutti i tempi, si protrasse per 7 anni e alla fine portò all’instaurazione del regime di Charles Taylor, con una seconda fase che seguì e che durò altri 4 anni. Un intervento dell'ECOWAS in Niger significherebbe ancora una volta un intervento “marcato” Nigeria, il Paese più popoloso e influente dell'organizzazione (si potrebbe parlare di intervento nigeriano, più che dell’ECOWAS).
Tuttavia, la situazione attuale in Niger presenta delle complessità uniche difficili da decifrare che richiedono un'analisi attenta e ponderata prima di intraprendere qualsiasi azione militare. Il Presidente Bazoum è stato deposto da un colpo di stato condotto dalle Forze Armate del Paese. Se queste forze vengono rovesciate e il Presidente Bazoum viene ripristinato, si pone, appunto, la questione cruciale della sicurezza e della stabilità a lungo termine.
Dopo un intervento militare esterno, le Forze Armate e le forze di sicurezza verrebbero probabilmente ridimensionate e ciò creerebbe un vuoto potenzialmente pericoloso. È qui che entra in gioco la questione della sicurezza post-intervento. L'ECOWAS (la Nigeria) a quel punto dovrebbe schierare una forza di stabilizzazione a lungo termine, con tutte le criticità che ciò comporta (Liberia docet), tenendo pure conto che la Nigeria ha già le proprie gatte da pelare in casa dovendo fronteggiare l’insurrezione armata di Boko Haram. Pertanto, sarebbe necessaria in ogni caso pure una concomitante missione militare occidentale (molto robusta) quanto meno di supporto e advisoring, che assista nella ricostituzione del comparto difesa e sicurezza del Paese.
La seconda opzione è un'azione militare da parte di nazioni occidentali come Italia, Francia e Stati Uniti. Tuttavia, non essendo possibile ottenere un mandato dalle Nazioni Unite per via della Russia, l’unica strada percorribile sarebbe quella della coalizione di volenterosi. A nostro avviso, tale coalizione dovrebbe essere guidata dall’Italia e questo depotenzierebbe la narrazione sull’intervento diretto dell’ex potenza coloniale francese. L’Italia ha del resto interessi rilevanti nel Sahel e in Niger - controllo dei flussi migratori, contrasto alla criminalità e al terrorismo transnazionale, approvvigionamento energetico, ecc. - e la necessità di riportare più in generale l’attenzione degli alleati (in primis gli Stati Uniti) sul fianco sud, dopo anni di “strabismo” geostrategico “est-centrico”. Approfittiamone. Il Niger è strategico: è un pilastro della stabilità regionale, la cerniera verso il Nordafrica e la Libia e una pedina per il contenimento della crescente influenza russa. L’Italia deve avere gli “attributi” di giocare questa partita da protagonista, altrimenti si smetta di parlare di Piano Mattei, ecc.
Detto questo, è importante sottolineare anche altri 2 aspetti: la necessità di valutare bene le lezioni apprese dagli interventi precedenti, come quelli in Libia e in Iraq, per evitare ripercussioni indesiderate e instabilità a lungo termine, e la creazione di un percorso sostenibile per la stabilità politica ed economica del Niger a lungo termine. Insomma, occorre una strategia. Sparare e venire via non serve.
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