RIVISTA ITALIANA DIFESA
Niger, soldi e etnia, ma evitiamo ideologia e condizionalità 31/07/2023 | Pietro Batacchi

Il golpe militare in Niger resta per ora un grande punto interrogativo. Partiamo dai fatti: c’è un Presidente rimosso, Mohamed Bazoum, e i militari che in tutte le loro componenti – Esercito, Forze Speciali, Guardia Presidenziale, Guardia Nazionale, ecc. - hanno sospeso le istituzione installando un Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP) per il governo del Paese.

La manifestazione di ieri di fronte all’Ambasciata francese a Niamey (in foto) ha accresciuto la preoccupazione delle cancellerie occidentali con slogan, già uditi in altre capitali africane, del tipo “fuori gli Occidentali e dentro i Russi (leggi la Wagner)”. Un dato è però importante. I neo-padroni del Paese non hanno assecondato i manifestanti ma li hanno dispersi: il Generale Salifou Mody, ex Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate (fino ad aprile 2023) e neo ambasciatore nigerino negli Emirati Arabi Uniti (nominato il 1° giugno 2023), è stato ripreso davanti all’Ambasciata francese mentre cercava di disperdere la folla, accompagnato da alcuni militari della Guardia Nazionale. Segno che la situazione è molto fluida e dinamica, e che dietro le quinte si sta trattando; il che vuole dire che è ancora presto per parlare di “perdita” del Niger. Peraltro, i protagonisti del golpe non hanno legami con la Russia - a differenza dei golpisti maliani, “allevati” dal GRU a Mosca - e da anni esiste una buona cooperazione tecnico-militare - training, inquadramento e mentoring - con diversi Paesi occidentali, USA e Italia in primis, senza dimenticare lo storico rapporto con la Francia.

L’impressione - appunto, trattasi di impressione - è che il golpe abbia una matrice strettamente interna, tipica dei “mille mila” golpe africani: Bazoum è di etnia araba, in un Paese a maggioranza Hausa (componente etnica basata tanto in Niger quanto in Nigeria), e probabilmente i militari vogliono solo avere un pezzo di torta - aiuti occidentali e proventi dell’esportazione dell’uranio - più grande.

Questo, però, non significa che sul ceppo interno non si possa innestare una dinamica esterna. Se i militari vengono messi con le spalle al muro, potrebbero veramente “chiamare” la Wagner - che già sta lavorando anche in Niger sulla narrazione e sui sentimenti anti-occidentali diffusi in ampi settori delle popolazioni africane - e chiudere la porta all’Occidente. Di sicuro, le bellicose dichiarazioni dell’ECOWAS (Comunità Economica degli Stati dell'Africa Occidentale) non giovano. Uno degli ultimi interventi dell’ECOWAS è stato quello in Liberia: un disastro che ha solo allungato una delle più feroci e brutali guerre civili della storia. Per cui, è bene che l’Occidente si muova in prima persona - in particolare l’Italia e gli USA - e che faccia di tutto affinché la porta di cui sopra non si chiuda. Ma deve farlo con un occhio più incline al pragmatismo e meno all’ideologia della condizionalità: siamo in Africa, bellezza!

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