Non sono ancora chiari i contorni della sedizione di Prigozhin, nata e morta nell’arco di 24 ore. Ne sono chiare le ragioni: Prigozhin ha lanciato una sfida al potere pubblico legittimo – la Difesa e, quindi, il Cremlino – per costringerli alla marcia indietro circa la decisione di assorbire tutte le organizzazioni “volontarie”, a cominciare ovviamente dalla Wagner, nella struttura delle Forze Armate russe entro il 1° luglio.
Insomma, un imprenditore privato dedito alla produzione e fornitura di “violenza organizzata” che ha deciso di sfidare il detentore del monopolio legittimo della forza per mantenere la propria autonomia e continuare ad esercitare in maniera indipendente tale potere. Una sfida inaccettabile per lo Stato russo: che ha tenuto il punto su questo è non è indietreggiato rispetto alla decisione presa. Ne valeva, appunto, della sua legittimità. Da qui, la marcia indietro dello Chef di Putin, con il richiamo delle colonne in marcia su Mosca, dopo un accordo di cui ancora non si conoscono con esattezza i contorni, la mancanza di appoggi (con qualche oligarca suo amico che scappava da Mosca in aereo) e la sua indecisione. Il leninano “che fare?”, insomma, e il timore di avere esagerato. Di certo, il video di oggi del Ministro della Difesa Shoigu che visita le truppe russe in Ucraina è un segnale preciso: il grande nemico di Prigozhin resta al suo posto (per ora), nessun “rimpasto”, nessun dimissionamento. Uno degli obbiettivi della sedizione, la testa del vecchio generale, non è stato raggiunto. Adesso resta da capire cosa ne sarà della Wagner.
Si possono fare solo delle speculazioni: una parte verrà assorbita dalle Forze Armate, una parte andrà chissà dove con Prigozhin. Del resto si tratta di ottimi combattenti di cui Mosca non vuole privarsi, che forse potremo rivedere presto anche in Ucraina. Detto questo, qual è l’impatto della sfida di Prigozhin al potere di Putin? Ecco alcuni spunti, senza che vi possano essere ancora certezze:
1. E’ stata la prima sfida al potere del Capo: un primo scricchiolio nel meccanismo di pesi e contrappesi tra elite che governa la Russia da un ventennio.
2. Il Capo, dopo aver incassato pubblicamente l’appoggio di tutte le anime del regime, avrebbe però vinto la sfida togliendosi dai piedi un amico diventato troppo ingombrante e potente, e confermandosi come l’unico vero garante possibile della stabilità di un pachiderma con 6.000 testate nucleari come la Russia.
3. Putin sarebbe però più debole perché avrebbe permesso ad un mercenario di arrivare fino a 200 km dal cuore del suo potere, con una danno enorme alla sua immagine.
4. L'inizio della fine del potere putiniano.
Ecco, al momento si tratta di tutte congetture perchè il quadro informativo non è esaustivo, organico e affidabile. Occorreranno ancora giorni per capire meglio. La cosa paradossale è che nella giornata di sabato, che ha lasciato il mondo con il fiato sospeso, ad un certo punto si stavano sviluppando 3 scenari: Prigozhin, Putin e l’implosione dello Stato russo. In molti, qua in Occidente devono avere pensato che forse, alla fine, lo scenario 2 era quello preferibile... Comunque, la salute del sistema di potere russo la potremo misurare nei prossimi giorni sul campo di battaglia: senza se e senza ma.
Al momento non ci sono grandi cambiamenti: la sensazione è che anche a Kiev non si riesca ad entrare più addentro al grande enigma moscovita. Sul fronte di Zaporizhia, le forze di Kiev sono avanzate da qualche giorno fino quasi a Robotyne, dove passa la prima vera linea di difesa russa, ed hanno stabilito una piccola testa di ponte a Kerson, ad est del Dneper, proprio “attaccata” al ponte Antonevsky fatto saltare dai Russi lo scorso novembre. La strategia di Kiev è chiara, dosare le forze, muovere gruppi di fanteria, usare molto artiglieria e missili/droni, mettere pressione ai Russi ed evitare per ora azioni meccanizzate più complesse, come quelle, fallimentari, condotte nei primi 4 giorni di controffensiva.
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