Chi la fa, l’aspetti. Difficile che Abubakar Shekau, leader del movimento jihadista nigeriano Boko Haram conosca questo proverbio; ma certo rende bene l’idea di quanto il suo movimento si sia tirato addosso, dopo aver tentato di esportare il suo Califfato, ormai regolarmente “tesseratosi” al franchising ISIL, nei paesi confinanti. E se già dal 2013 i miliziani di Boko Haram avevano iniziato a colpire i villaggi di confine in Camerun, paese le cui armi erano spuntate da un irrimediabile mix di corruzione, inefficienza e inesperienza, negli ultimi mesi gli attacchi lanciati nei territori del Niger, e soprattutto del Ciad, hanno contribuito alla discesa in campo di eserciti esperti e ben equipaggiati per la lotta contro movimenti insurrezionali, e meglio motivati dei militari nigeriani, che sinora non hanno saputo impiegare al meglio quello che era considerato come il più potente apparato militare dell’Africa occidentale. Non va infatti dimenticato che, all’ampiezza e sofisticazione dell’arsenale a disposizione delle Forze Armate Nigeriane, si aggiunge la notevole esperienza sul campo, accumulata combattendo una guerra su vasta scala (Biafra, 1967-1970), le numerose insorgenze interne, e, negli anni ’90, un conflitto di frontiera col Camerun, intrecciatosi con numerosi e complessi interventi multinazionali, dalla Liberia alla Somalia. Al contrario, proprio l’apparato militare del Camerun, al di là del conflitto frontaliero a bassa intensità per la penisola di Bakassi, che lo portò a un passo dalla guerra con la Nigeria nel 1981 e 1994, non può certo vantare una grande esperienza operativa. Un aspetto apparentemente positivo, in un continente segnato da violenze e massacri, ma che ora risulta di ostacolo. Sul terreno, l’Esercito conta meno di 23.000 effettivi, cui si possono aggiungere circa 9.000 uomini della Gendarmeria; tuttavia delle 6 brigate in organico, solo quella presidenziale, che garantisce la sicurezza dell’82enne capo dello Stato Paul Biya, in carica dal 1982 e rieletto nel 2011, e il Bataillon d’Intervention Rapide (BIR, secondo alcune fonti elevato a livello di brigata, poiché conta 6.900 uomini, compreso il distaccamento del Delta) sono considerate unità dallo standard elevato. La BIR sta sostenendo in questi mesi il peso maggiore della lotta contro Boko Haram, ottenendo qualche successo, come la liberazione degli ostaggi catturati nel raid di Kolofata, nel gennaio 2015. Ma non può essere ovunque, e restano inoltre da superare le molte carenze addestrative e di equipaggiamento, legate anche al solito mix di fonti di approvvigionamento disparate, con un occhio negli ultimi anni al supporto cinese. L’Esercito, in attesa che arrivino i nuovi APC e IFV ordinati in Cina nel 2013, impiega ancora un centinaio di vecchi blindati AML-60/90 (acquistati di seconda mano dalla Bosnia), AMX-10RC, FERRET e COMMANDO LAV-150. L’Aeronautica può poi contare solamente su un pugno di vecchi MB-326K IMPALA-2 ceduti di seconda mano dal Sudafrica 15 anni fa, e di dubbia operatività, e 4 dei 6 ALPHA JET acquistati nel 1984, oltre a un certo numero di aerei da trasporto/collegamento e a una ventina di elicotteri, compresi 3 Mi-24 HIND. In corso di consegna, oltre ai mezzi blindati cinesi ci sono anche 8 elicotteri AS565 PANTHER, Bell-412 e Mi-17 HIP-H, pezzi d’artiglieria israeliani, mentre le forze navali, che da anni si trovano in crescenti difficoltà nel fronteggiare la pirateria nel Golfo di Guinea, stanno ricevendo moderni pattugliatori spagnoli, francesi e cinesi.
Ma il vero player su cui può contare la nascente coalizione anti-Boko Haram è sicuramente il Ciad, un Paese passato attraverso una lunga serie di guerre civili, combattute quasi senza soluzione di continuità a partire dal 1965, e che nel 1986-1987 inflisse alla Libia di Gheddafi una devastante sconfitta sul campo nella cosiddetta “campagna delle Toyota”. Proprio l’architetto di quella battaglia, il Generale Idriss Déby, la “volpe del Tibesti” oggi 63enne, guida il Ciad dal 1990, e senza aver fatto riposare sugli allori i suoi vecchi guerrieri, impegnati – oltre che a sedare le inevitabili guerriglie interne – nelle guerre dei Grandi Laghi a cavallo degli anni ’90 e 2000, in un conflitto non dichiarato col Sudan nel Darfur (2005-2010), e ora dispiegate contro l’integralismo islamico in Mali (con 2.000 uomini) e Nigeria, dove Déby, che nel 1985 aveva frequentato l’École de Guerre, si è confermato il più affidabile degli “ausiliari” di Parigi. Le Forze Armate sono state snellite e riorganizzate nel 2011 con assistenza americana e francese, e hanno quintuplicato le spese di procurement tra 2004 e 2008. L’Esercito, che inquadra 25.000 effettivi (compresa la Guardia Repubblicana, più 4.500 effettivi della Gendarmeria e altre unità paramilitari), e che tra febbraio e marzo ha lanciato 2 offensive costate a Boko Haram alcune centinaia di uomini, può quindi contare anch’esso su 80 AML-60/90, ma revisionate e acquistate nel 2007-2010, più semoventi 2S1 bulgari e lanciarazzi cinesi, e 22 moderni APC 4x4 BASTION Patsas destinati alla Guardia assieme ai RAM-2000 israeliani, e configurati per affrontare minacce tipo EOD. Dalla Cina stanno inoltre arrivando una sessantina tra APC ruotati 4x4 e 6x6, e blindo 6x6 WMA-301 armate con cannone da 105 mm, in aggiunta al materiale risalente agli anni ’80 (come ERC-90 e VAB). Anche l’Aeronautica Ciadiana sta conoscendo una fase di potenziamento. La componente combat impiega 6 Su-25 ex ucraini acquistati nel 2008, mentre altri 4 sono stati ordinati nel 2013 assieme ad altrettanti MiG-29, cui si possono aggiungere per compiti COIN i Pilatus PC-7, e gli SF-260M WARRIOR ceduti dalla Libia nel 2006. La flotta da trasporto, sinora incentrata su un C-130H e un variegato schieramento di mezzi da collegamento, ha appena acquisito i 2 C-27J SPARTAN ordinati nel 2012. Ricca anche la componente ad ala rotante, che comprende 7 Mi-24 HIND d’attacco (ceduti con piloti ucraini a contratto) e una decina di Mi-17 HIP, compresi alcuni esemplari nuovi di zecca.