RIVISTA ITALIANA DIFESA
Il ritorno dell’artiglieria 25/05/2023 | Pietro Penge

Per tutta la lunga stagione dei “dividendi della pace”, l’artiglieria (nelle sue 2 declinazioni terrestre e contraerei) e i suoi programmi di sviluppo hanno costituito l’obiettivo d’elezione dei tagli apportati a pressoché tutti gli strumenti militari occidentali. Pressati dalla necessità di ridurre spesa e numeri, convinti di non dover più prevedere impieghi militari simmetrici di massa e ammaliati dall’aspettativa di poter compensare con la rinuncia alla quantità l’acquisizione di mezzi e dotazioni di migliore qualità, gli Eserciti dell’Europa occidentale hanno rinunciato a cuor leggero a una spropositata proporzione dei propri sistemi di supporto di fuoco a tiro indiretto e contraerei, oppure ne hanno posticipato a data da destinarsi quasi tutti i programmi di ammodernamento.

Al contempo si è accettata con fiduciosa rassegnazione, per motivi sicuramente condivisibili dal punto di vista morale ma parimenti opinabili dal punto di vista operativo per strumenti sempre più piccoli e sempre meno capaci di assemblare una massa critica, la dismissione di tutti i sistemi ad azione d’area dotati di testate a submunizioni, senza mettere allo studio munizioni dotate di paritetica efficacia contro bersagli areali (con la solitaria eccezione dell’Alternative Warhead studiata dagli USA per l’MLRS, vedasi RID 02/23). Per contro, l’attenzione è stata riposta sulla ricerca di effetti sempre più concentrati e precisi e sulla diminuzione del rischio di danni collaterali (il cosiddetto “Artillery Sniping"), nella diffusa convinzione che l’idea di un impiego massivo dei sistemi di erogazione del fuoco indiretto fosse ormai obsoleta e le relative teorie e dottrine da relegare alle pagine dei libri di storia.

L'articolo completo è pubblicato su RID 6/23, già disponibile online e a breve in edicola.


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