La percezione della minaccia rappresentata da attacchi missilistici a lungo raggio è diventata sempre più evidente. Nel corso dell’aggressione russa contro l’Ucraina sono stati impiegati in modo massiccio sia missili balistici sia missili da crociera, e per la prima volta anche un piccolo numero di missili ipersonici. Non deve quindi sorprendere che molti Paesi occidentali, e non solo, stiano affrettandosi per cercare di acquisire una capacità di difesa antimissile, mentre nel passato, anche recente, si era continuato a rinviare o a proseguire a ritmo lento, programmi di questo tipo. La realtà sta quindi bussando alle porte di molti Ministeri della Difesa…

Israele si è trovato a dover affrontare questo problema molto prima di ogni Stato europeo. Il piccolo Paese ha subito oltre 40 attacchi con missili balistici, già a partire dal 1991. Negli anni sono poi seguiti innumerevoli lanci di razzi con gittate di alcune decine di km. Lo studio per un sistema di difesa antimissili balistici era iniziato nel 1986, alla luce degli sviluppi degli arsenali di diversi Paesi arabi. Il sistema aveva inizialmente l’obiettivo di proteggere Israele dagli attacchi condotti da missili SS-1 SCUD (300-600 km) e SS-21 SCARAB (120 km) in dotazione a Siria e Iraq, e dalle loro varianti a più lungo raggio sviluppate localmente, come gli iracheni AL-HUSSEIN (650 km). Un’altra minaccia era rappresentata dal CSS-2 (DONGFENG-3) in dotazione all’Arabia Saudita con una gittata di 2.500 km. Infine lo sviluppo di una importante forza di missili balistici iraniani: SHAHAB-1 (SCUD-B, 300 km), SHAHAB 2 (HWASONG-6, 500 km), SHAHAB-3 (NODONG, 900 km, e GHADR-110, 1.600/1.900 km). L’Iran ha anche trasferito all’Hezbollah libanese numerosi missili balistici a corto raggio FATEH-110 (250-300 km) e razzi pesanti FAJIR 3/5 da 333 mm (45-75 km).

L’articolo completo è pubblicato su RID 5/23, disponibile online e in edicola.

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