Il 15 aprile, le Rapid Support Forces (RSF), organizzazione paramilitare creata a partire dalle milizie arabo-beduine Janjaweed, ha attaccato numerosi siti sensibili sudanesi (basi militari, sedi istituzionali, aeroporti, infrastrutture critiche ed emittenti radiotelevisive) su tutto il territorio nazionale allo scopo di effettuare un colpo di Stato. L’obbiettivo principale era la destituzione del Generale Abdel al-Burhan, Comandante in Capo delle Forze Armate e Presidente del Consiglio Sovrano di Transizione (CST), l’organo esecutivo che governa il Paese dal 2019, anno in cui i militari, sfruttando le diffuse proteste popolari, hanno esautorato il Presidente Omar al-Bashir. A guidare il tentativo di golpe è stato il Generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemeti”, leader delle RSF e Vicepresidente del CST. Quest’ultimo, proveniente dalla tribù araba Rizeigat, è uno dei personaggi più potenti del Sudan, con un passato di commerciante di cammelli e, soprattutto, di braccio armato di al-Bashir. Nello specifico, “Hemeti” è stato uno dei principali responsabili del genocidio in Darfur e del massacro di Khartoum del 2019. Nonostante la rapidità e la sincronizzazione degli attacchi su tutto il territorio nazionale, Khartoum compresa, le RSF non sono riuscite né ad assumere il controllo di tutte le sedi istituzionali né tantomeno a destituire al-Burhan. Infatti, benché le RSF dispongano di oltre 100.000 unità, siano ben radicate sul territorio e possiedano un livello capacitivo e di equipaggiamento pari a quello delle Forze Armate, i militari hanno retto l’urto iniziale degli attacchi, assestando la situazione in un quadro di sostanziale equilibrio e di stallo. La faida tra Forze Armate e RSF è soltanto l’ultimo atto della difficoltosa fase di transizione alla democrazia sudanese, avviata nel 2019 e ostacolata già nel 2021 proprio dai militari, intervenuti a sedare violentemente nuove proteste popolari e a promuovere un forzoso “rimpasto” nel CST armi in pugno. Da allora, i “colonnelli” sudanesi hanno promesso il trasferimento del potere alle opposizioni civili, riunite nelle Forze per la Libertà ed il Cambiamento (FLC), senza mai trovare, però, un accordo di compromesso circa il dossier più sensibile della transizione: il controllo dell’apparato economico nazionale. Infatti, ad oggi, esattamente come accade in Egitto, l’intero complesso produttivo, commerciale e infrastrutturale sudanese è formato da imprese ed aziende controllate, in maniera più o meno diretta, dalle Forze Armate e dalle RSF. Nello specifico, mentre le Forze Armate controllano una serie di aziende con interessi diversificati (da banche a società di import-export fino all’industria della difesa, alle telecomunicazioni e ai conglomerati agro-alimentari), le RSF sono specializzate nel settore minerario (estrazione e raffinazione aurifera) e nel settore securitario (Private Military Company). Nel complesso, il giro d’affari delle RSF supera i 3 miliardi di dollari all’anno. Dunque, la crisi della transizione sudanese e il conflitto tra Forze Armate e RSF vertono quasi interamente sul controllo delle risorse economiche. Infatti, mentre le opposizioni esigono che la gestione delle società e delle industrie passi dall’autorità militare a quella civile, le Forze Armate sono disposte a farlo soltanto in cambio dell’assorbimento delle RSF al proprio interno e, di conseguenza, dell’acquisizione delle miniere d’oro e delle PMC della famiglia Dagalo. Nel corso dell’ultimo incontro tripartito dello scorso dicembre, sia le Forze Armate che le RSF avevano accettato questo compromesso. Tuttavia, mentre i militari protendevano per un periodo di 2 anni per completare lo scioglimento delle RSF e il loro incorporamento nella struttura della Difesa sudanese, le RSF erano inclini ad una fase transitoria di durata decennale. La motivazione di tale proposta appare evidente: le RSF, in virtù della loro superiore forza economica, contavano di divorare dall’interno le Forze Armate e assicurarsi la protezione degli interessi della famiglia di “Hemeti” attraverso un processo lento e graduale di assorbimento. Di fronte al rifiuto delle Forze Armate e alla mancanza di un compromesso, le RSF hanno tentato il colpo di mano attraverso il golpe. In questo contesto, la crisi sudanese assume importanti sfumature ed impatti sia regionali che internazionali. Per quanto riguarda il primo aspetto, il conflitto tra al-Burhan e Dagalo è osservato attentamente dall’Egitto, che sostiene le Forze Armate, dal Ciad e dall’Etiopia, entrambi supporter delle RSF. Per quanto riguarda il profilo internazionale, gli attori più interessati sono Russia, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Arabia Saudita e Stati Uniti. Infatti, mentre i primi 2 sono in legami d’affari con Dagalo, gli altri vedrebbero di buon occhio la sua caduta in disgrazia. Nello specifico, l’oro estratto e raffinato dalle RSF, a causa del regime sanzionatorio ai danni di Khartoum, può essere commercializzato e venduto quasi interamente in maniera illegale. I principali acquirenti dell’oro contrabbandato sudanese sono gli Emirati Arabi Uniti, mentre il mediatore ed il fornitore di servizi di “logistica integrata” è la Russia, attraverso la Wagner e la mafia. I mercenari di Prighozin non solo sono coinvolti nella protezione di alcune miniere ma, attraverso società di comodo e front company, partecipano direttamente all’estrazione e alla vendita dell’oro. Un ultimo fattore da non sottovalutare è il ruolo delle RSF nel controllo del traffico di esseri umani. Le unità paramilitari, infatti, controllano i valichi più importanti in entrata ed in uscita dal Sudan, il principale Paese di transito per la rotta africana orientale, e sono attivamente collusi con i trafficanti (i governativi, però, nelle ultime ore avrebbero preso il controllo del confine con la Libia). Questo vuol dire che, come avviene in altri scenari africani (Mali e Libia), le RSF potrebbero utilizzare la minaccia dell’apertura dei confini e dell’aumento del flusso migratorio illegale come arma di ricatto nei confronti di precisi attori internazionale. L’articolo integrale completo è disponibile sul n.11 del WEEKLY, online da domani.
Nella foto, in rosso, le aree controllate dai governativi; in verde, le aree controllate dalle RSF.
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