RIVISTA ITALIANA DIFESA
Il ritiro russo da Kherson: implicazioni militari e politiche 10/11/2022 | Pietro Batacchi

Dopo l’ordine impartito ieri sera dal Ministro Della Difesa russo Shoigu, le forze di Mosca hanno iniziato il ritiro dall’area ad ovest del fiume Dnepr nel settore di Kherson. Il ritiro sembra per il momento avvenire in modo abbastanza ordinato e l'impressione è che la pianificazione fosse in corso da settimane. Nulla a che vedere, insomma, con la disordinata rotta di Kharkiv. Peraltro, gli Ucraini sembrano molto cauti nell’avanzare perché i Russi hanno lasciato campi minati di sbarramento e indirizzamento per il tiro di artiglieria, fatto saltare diversi ponti sull’Inhultes e sugli scolmatori del Dnepr, e lavorano con l’Aviazione. La dottrina militare russa, del resto, prevede la difesa di manovra, ovvero una forma di difesa il cui obbiettivo è infliggere perdite al nemico, guadagnare tempo e preservare le forze amiche cedendo terreno. Essa è condotta quando non ci sono mezzi e forze sufficienti per condurre la difesa posizionale.

Per il ridispiegamento ad est del Dnepr le forze di Mosca stanno utilizzando i servizi di ferry su chiatte allestiti in diversi punti del fiume – dalle immagini satellitari se ne contano almeno 8 – ma per il completamento di questa complessa operazione occorreranno diversi giorni. Nel frattempo, gli Ucraini potranno attaccare gli attraversamenti e “molestare” in generale lo “sganciamento”, ma al momento a Kiev sembra prevalere una certa prudenza, detta anche dal fatto, come evidenziato, che i Russi hanno lasciato sul terreno diverse “trappole”.

La presenza delle forze di Mosca ad ovest del Dnepr nell’Oblast di Kherson era diventata insostenibile. Secondo alcune stime, con i principali valichi attraverso il fiume danneggiati e con gli attraversamenti campali costantemente sotto attacco, era possibile fare fronte solo a 1/10 delle esigenze logistiche – in particolare munizioni – delle forze russe schierate sulla riva destra del Dnepr. La gestione centralizzata dei magazzini e delle scorte – per settimane bersagliati dall’artillery sniping ucraino – non ha certo aiutato.

I Russi, dunque, - in particolare i reparti della 76ª e della 106ª Divisone aviotrasportate, della Fanteria di Marina e del 22° Corpo d'Armata (un totale di circa 30.000 uomini) – hanno iniziato a ritirarsi su posizioni preparate nell’area ad est del Dnepr, mentre anche nel Nord della Crimea vengono scavate trincee, e si apprestano dd usare il grande fiume come barriera naturale difficile da forzare. L’obiettivo di Mosca, a questo punto, sembra quello di mettersi sulla difensiva (difesa posizionale), trincerandosi e “indurendosi” anche in profondità per allungare il conflitto e mantenere sotto il proprio controllo i restanti territori occupati, continuando allo stesso tempo a colpire con droni e missili le infrastrutture elettriche e duali ucraine. È chiaro, però, che una perdita dall’alto valore strategico e simbolico come Kherson, recentemente annessa alla Russia, potrebbe avere dei contraccolpi sul fronte interno che Putin, assente in questi giorni dalla scena, potrebbe avere difficoltà a gestire. Ma la sensazione in questo momento è che Mosca voglia arrivare ad una sorta di cessate il fuoco con il quale congelare sine die il conflitto. In questi giorni diversi segnali, provenienti pure dallo stesso Zelensky, così come dal Ministero degli Esteri russo, e pure, oggi, dal Presidente turco Erdogan, sembrano andare nella direzione di un abboccamento. E poi ci sono le parole del Capo di Stato Maggiore della Difesa americano Mark Milley che ha stimato in 100.000 uomini, tra morti e feriti, le perdite per ciascuno dei 2 contendenti. Insomma, gli alti costi per entrambi, la stanchezza e le pressioni diplomatiche esterne potrebbero alla fine portare ad un compromesso e ad un congelamento della situazione “alla coreana”.

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