RIVISTA ITALIANA DIFESA
Droni e difesa antiaerea 20/10/2022 | Alessandro Marrone

L’invasione russa dell’Ucraina ha segnato uno spartiacque nell’impiego dei droni nei conflitti armati. Si tratta infatti di un uso su larga scala, prolungato nel tempo, pienamente integrato nella manovra militare, con effetti a livello sia tattico che strategico, sin dalle prime fasi del conflitto da parte ucraina e nelle ultime settimane anche da parte russa. L’uso di droni a fianco di missili di vario tipo, razzi e artiglieria, è già stato sperimentato nel conflitto in Nagorno-Karabah (2020), mentre singoli, sofisticati attacchi sono stati condotti in più punti del Medioriente da attori statali e non. La guerra russo-ucraina segna però una forte accelerazione della tendenza verso l’integrazione e l’uso massiccio di droni in operazioni complesse, foriera di adattamenti dottrinali, organizzativi e tecnologici. In termini militari, l’impiego da parte ucraina ha posto in modo nuovo la vexata quaestio di un’adeguata difesa aerea ravvicinata delle formazioni in manovra, ad esempio i mezzi cingolati e ruotati russi bersagliati con perdite ingenti. Il recente uso da parte russa di droni kamikaze di fabbricazione iraniana per colpire centrali elettriche in diverse città ucraine, anche lontane dalla linea del fronte, sottolinea la vulnerabilità di infrastrutture critiche che erano state abbastanza ben protette nei mesi scorsi rispetto ai missili da crociera lanciati dalla Russia.

Il conflitto russo-ucraino, per la sua portata e complessità, comporta una serie di importanti lezioni per le Forze Armate dei Paesi NATO – e non solo – che devono prepararsi per conflitti ad alta intensità contro near peer o peer competitors. Tra queste lezioni, per quanto riguarda i droni, emerge con forza il rischio saturazione delle difese contraeree, anche per Forze Armate avanzate di medie potenze come quelle dei maggiori Paesi europei - Italia inclusa. La combinazione di missili più performanti con sciami di droni molto più numerosi e sacrificabili in quanto poco costosi rischia di saturare, e quindi di superare, una difesa congegnata per attacchi maggiormente convenzionali. Di fronte all’uso massiccio di droni relativamente low cost come quelli visti all’opera in Ucraina, serve un più ampio ventaglio di contromisure, una maggiore disponibilità di munizionamento, e un costo-per-intercetto contenuto per rendere sostenibile la difesa contraerea.

Un recente studio dello IAI (Istituto Affari Internazionali) sulla difesa aerea ravvicinata ha affrontato la questione dal punto di vista operativo e tecnologico, ipotizzando come soluzione un sistema di sistemi, multistrato ed integrato in un'unica catena di Comando e Controllo. Di questa visione integrata fanno parte sensori attivi e passivi, compresi sistemi radar attivi allo stato dell’arte e sensori smart, effettori hard kill – tra cui le innovative armi a energia diretta laser – e soft kill da considerare complementari e non alternativi. In linea di massima la tecnica di neutralizzazione dipende dal tipo di bersaglio e dallo scenario operativo, e la difesa migliore consiste in un ventaglio di opzioni integrate in chiave di gestione degli effetti. Tutto ciò implica un forte investimento in adeguati sistemi di Comando e Controllo, comprese elevate capacità computazionali, in quanto elemento chiave per un sistema di sistemi che combini efficacia, riduzione dei danni collaterali e sostenibilità del costo-per-intercetto.

Purtroppo l’esperienza degli ultimi 3 decenni, dalla RMA (Rivoluzione negli Affari Militari) alla NCW (Network Centric Warfare), insegna che un sistema di sistemi è più facile a dirsi che a farsi, per tutta una serie di ostacoli e problematiche non solo tecnologiche ma capacitive, operative, organizzative e burocratiche. Già solo la digitalizzazione ex post e la messa in rete di assetti legacy rappresenta una sfida non da poco, così come la diffusione di capacità di difesa contraerea a livello tattico nelle formazioni di un esercito Tutto ciò rappresenta una sfida importante per l’Italia, sia per le forze armate che per l’industria del settore in un’ottica di sistema-Paese. Nel 2022 la maggiore attenzione per la difesa causata tragicamente dalla guerra russo-ucraina ha portato al lancio di importanti programmi di procurement, ma non a un aumento del bilancio della difesa per il 2023 secondo l’ultimo Documento Programmatico Pluriennale. Serve quindi una chiara visione delle priorità da perseguire e delle scelte da compiere per un ammodernamento della difesa aerea ravvicinata sinergico con lo sviluppo complessivo dello strumento militare terrestre. In questo contesto, l’ambito NATO con i suoi gruppi di lavoro – in cui l’Italia siede – rappresenta un forum importante per la convergenza su standard e possibili cooperazioni, mentre l’ambito UE, con lo European Defence Fund, presenta un’opportunità per garantire sicurezza degli approvvigionamenti e sovranità tecnologica condivisa in Europa. Due ambiti dove l’Italia può e deve giocare un ruolo attivo e tempestivo, facendo bene i compiti a casa quanto a pianificazione e investimenti.

Alessandro Marrone è responsabile del programma Difesa dello IAI.

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