RIVISTA ITALIANA DIFESA
ISIL: la minaccia viene dal mare? 17/02/2015 | Giuliano Da Frè

La bandiere nere dell’ISIL piantate sulla ex quarta sponda, hanno in questi giorni “ripescato” dai fondali di Lampedusa lo spettro dei 2 missili SCUD sparatici contro dall’ormai rimpianta (sic!) Libia di Gheddafi. Uno spettro molto probabilmente destinato a restare tale, visto che difficilmente qualche SCUD (armi potenti, ma poco precise e rudimentali, e comunque bisognose di buona preparazione tecnica e adeguato supporto manutentivo) sarà ancora utilizzabile, anche tra quelli acquistati dalla Corea del Nord nei tardi anni ’90, dopo la loro distruzione imposta al Colonnello 10 anni fa, e la campagna aerea del 2011 quando furono eliminati gli ultimi missili rimasti nell'arsenale di Gheddafi. Il vero pericolo potrebbe invece giungere via mare, e vestire i panni della poco sofisticata ma molto scaltra e totalmente priva di scrupoli guerra asimmetrica, in cui i miliziani dell’ISIL – feroci, ma tutt’altro che sprovveduti – si sono dimostrati maestri. E l’incidente avvenuto domenica a una vedetta della Guardia Costiera, uno dei natanti da ricerca e soccorso tecnicamente all’avanguardia nell’affrontare condizioni meteo marine estremamente avverse, ma anche disarmati, ha provocato più di un brivido nella schiena; e, si spera, motivo di allarme e di attenzione per la Difesa italiana. In quest’occasione si è trattato infatti “solamente” di un gruppo di scafisti che rivolevano i ferri del mestiere, ossia un barcone sequestrato dai nostri (inermi) guardacoste. Ma cosa sarebbe successo se si fosse trattato di un commando di jihadisti, decisi a uccidere o catturare militari occidentali? Impossessatisi di alcuni porti e di imbarcazioni di vario genere, e con la possibilità di sfruttare l’esperienza accumulata dagli scafisti da anni impegnati sulle rotte migratorie, ISIL potrebbe ripetere tra golfo della Sirte e canale di Sicilia lo scenario che da 10 anni domina la regione marittima compresa tra la Somalia e Aden. Veloci natanti potrebbero infatti attaccare pescherecci, imbarcazioni da crociera, piccoli mercantili, ma anche vedette impegnate in missioni di soccorso, in questo caso più per catturare prigionieri da esibire con tuta arancione e coltello alla gola (e per i quali chiedere lucrosi riscatti) che merci. Proprio le unità della Guardia Costiera possono risultare vulnerabili a scenari ancora più letali e mirati: il miscuglio tra mancanza di scrupoli e fanatismo potrebbe trasformare qualche barcone di ignari clandestini in una trappola esplosiva innescata nel momento in cui l’imbarcazione viene abbordata dai team di ispezione, o avvicinata dal guardacoste di turno, con conseguenze devastanti per uomini e mezzi. Anche in questo caso, nulla di nuovo: già nel 1880 la Marina peruviana, impegnata contro il Cile, dopo aver perso il grosso della sua flotta affondò un paio di navi nemiche impiegando barche mandate alla deriva con una trappola esplosiva, che si innescava al momento del recupero. Un altro possibile scenario navale, oggettivamente meno probabile (soprattutto nella cattiva stagione) è legato al “modello Mumbai”. Nel novembre 2008 un commando qaedista seminò per 4 giorni il panico nella grande città indiana, provocando più di 160 vittime. Il gruppo, ben addestrato ed equipaggiato, si era infiltrato via mare, prima catturando un peschereccio, per poi sbarcare con un gommone a motore; da notare che lo scorso 31 dicembre la Marina Indiana ha intercettato e affondato un peschereccio sospetto al largo del Gujarat, saltato in aria subito dopo essere stato colpito, probabilmente perché carico di esplosivo. Una tattica che ben si presterebbe a ispirare eventuali raid contro Lampedusa, o se questa fosse troppo sorvegliata (e i terroristi disponessero di una nave-madre tanto apparentemente innocua, quanto adeguata a lunghe traversate), o sulle coste siciliane; anche se si tratta di scenari cui le forze navali NATO si preparano dal dopo 11 settembre, ad esempio con l'Operazione ACTIVE ENDEAVOUR. Infine, nel caso in cui l’Italia si impegnasse in una missione militare in Libia, un altro modello cui guardare per evitare di far correre rischi alle unità che verrebbero necessariamente dispiegate lungo le coste e nei porti libici, è quello dell’attacco al cacciatorpediniere COLE ad Aden, nel 2000, realizzato con un barchino esplosivo suicida.

 


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