RIVISTA ITALIANA DIFESA
La risposta missilistica russa all’attacco di Kerch: un’analisi più approfondita 11/10/2022 | Andrea Mottola

Dopo l’attacco ai danni del ponte di Kerch, la risposta russa alla probabile azione ucraina non si è fatta attendere. Tra le prime ore del 10 ottobre e nelle 24 ore successive, Mosca ha lanciato un attacco su larga scala sull’intero territorio ucraino, andando a colpire infrastrutture strategiche (centrali elettriche/termiche e siti industriali) presenti all’interno o nelle periferie di oltre 20 città – Kiev inclusa – nonché edifici militari e/o legati alla presunta presenza di personale militare, diplomatico (come l’ufficio visti dell’Ambasciata tedesca) o appartenente ai servizi d’intelligence. Lo strike è stato caratterizzato dall’impiego contemporaneo, lungo almeno 3 diverse direttrici, di missili da crociera 3M-14 KALIBR, 10/12 lanciati da corvette classe STEREGUSHCHIY in navigazione nel Mar Nero, da 15/20 Kh-22, Kh-101 e Kh-555 lanciati da una dozzina di bombardieri Tu-22, Tu-95 e Tu-160 in volo, rispettivamente, sull’area di Bryansk, Kransodar/Rostov e zona caspica e, infine, da 20/25 UAV spendibili iraniani SHAHED-136 (GERAN-2, secondo la denominazione russa) lanciati a ridosso dei confini settentrionali dell’Ucraina, e dalla aree controllate dai russi (Crimea, Donetsk, Luhansk). Dalle stesse aree, in particolare dal Donbas e dal confine nordorientale ucraino, sono stati lanciati circa 15 missili balistici ISKANDER e TOCHKA, salve di razzi provenienti da sistemi TORNADO-S e una manciata di missili terra-aria appartenenti alle batterie di S-300, già impiegati dai Russi negli ultimi mesi – con scarsi risultati - contro obiettivi terrestri. Alle direttrici citate – confine settentrionale russo-ucraino, Mar Nero e quadrante Donbass/Oblast russi al confine orientale tra Ucraina e Russia – bisogna aggiungere quella nordoccidentale bielorussa, da cui parrebbe siano stati lanciati alcuni degli SHAHED-136 per colpire Leopoli e obiettivi situati nell’area occidentale dell’Ucraina. Secondo una prima analisi, sarebbero stati colpiti almeno 30/35 obiettivi: l’attacco avrebbe comunque nel complesso avuto una certa efficacia, dato un “cocktail” di sistemi che avrebbe un po' sovraccaricato la contraerea ucraina.

Detto questo, oltre al chiaro intento di rispondere all’”affronto”di Kerch, dal punto di vista tattico/operativo l’attacco russo evidenzia e conferma un paio di elementi. In primis, dimostra ancora una volta come la Russia, non controllando lo spazio aereo ucraino, debba necessariamente affidarsi a strike effettuati con missili stand-off che consentano di colpire obiettivi da distanza di sicurezza o con munizioni circuitanti, o droni “kamikaze” che dir si voglia. Peraltro, per quanto concerne i missili, se confermata la nostra valutazione, il lancio di una trentina di cruise in un giorno non deve essere preso come reale indicatore di una buona disponibilità di scorte degli stessi. La cifra – abbastanza elevata per gli standard russi degli ultimi 2 mesi – deve essere rapportata al ridotto impiego di tali missili nelle 2/3 settimane precedenti. Inoltre, una buona parte di essi è costituita da Kh-22 antinave risalenti agli anni 80, il cui impiego da parte dei Tu-22 contro bersagli terrestri è stato ampiamente sdoganato dallo scorso aprile, ancorché con risultati non particolarmente incoraggianti in termini di precisione. Al contrario, e qui veniamo al secondo elemento, l’utilizzo degli UAV spendibili si conferma, ancora una volta, dopo gli attacchi Houthi contro Arabia Saudita ed EAU, e il conflitto nel Nagorno Karabakh, estremamente efficace dal punto di vista tattico - soprattutto nell’eliminazione/danneggiamento di infrastrutture non rinforzate, quali quelle industriali/stradali/energetiche o edifici civili – a fronte di costi finanziari e operativi (preservazione di piloti ed aerei) ridotti rispetto all’impiego dei più costosi – e pochi - cruise. Proprio tenendo in considerazione la loro citata efficacia e la relativa difficoltà nel loro contrasto per difese aeree sprovviste di sistemi ottimizzati, sarebbe lecito aspettarsi per l’Ucraina una fornitura di sistemi C-RAM nella prossima tornata di aiuti militari occidentali (un primo pacchetto peraltro già approvato). Nello specifico, è verosimile ritenere favorita la variante terrestre del CIWS navale PHALANX che è attualmente posto a protezione di strutture diplomatiche e militari americane in Iraq dove ha già dimostrato la sua efficacia proprio nel contrasto a UAV spendibili iraniani. Quello che è da capire è la quantità di droni ancora disponibili per i russi. Fonti USA a giugno parlavano di almeno 100 velivoli. Tuttavia, tenuto conto del rateo d’impiego delle ultime 4 settimane – una decina ogni 2 giorni – o le scorte sono in via esaurimento, oppure la cifra è almeno da raddoppiare. Anche in questo caso, però, esistono perplessità derivanti dal fatto che, ad oggi, dati attendibili sulle capacità produttive delle industrie iraniane parlavano di una capacità di assemblaggio di 30/40 SHAHED-131/136 all’anno (valore doppio/triplo rispetto a quello relativo ai più complessi UAV armati, come i MOHAJER-6, anch’essi consegnati ai russi). Un’ipotesi concreta che aiuterebbe a far luce su tale elemento potrebbe essere quella che affianca la vendita degli SHAHED-136 già prodotti dall’industria iraniana ad un contemporaneo trasferimento di know how per la loro diretta produzione in Russia, magari con l’invio di consiglieri e tecnici come supporto.

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