Un soldato spagnolo della missione UNIFIL e 2 soldati israeliani, appartenenti alla Brigata Givati, sono morti dopo un attacco di Hezbollah contro un convoglio di veicoli dell’Esercito israeliano nelle fattorie Shebaa. Durante il raid sarebbero stati lanciati 5 missili anti-carro KORNET che hanno colpito 2 veicoli. Tale attacco rappresenta una ritorsione contro il raid effettuato da un elicottero israeliano ai danni di un convoglio di veicoli nei pressi di Quneitra, sul Golan, lo scorso 18 gennaio, durante il quale sono morti 7 militanti del gruppo libanese, tra cui uno dei suoi comandanti, Abu Issa responsabile delle operazioni siriane del gruppo, e Jihad Moughniyah, figlio del defunto leader militare di Hezbollah, Imad. Vittime del raid anche un numero imprecisato di Pasdaran iraniani (tra i 5 e i 7), tra cui il Gen. Allahdadi, capo dell’intelligence e delle attività all’estero della Quds Force, ufficialmente in missione di consulenza alle forze libanesi impegnate nella guerra siriana. Secondo fonti israeliane, invece, il gruppo era in missione di ricognizione in vista di un imminente attacco contro le forze israeliane. La zona di Quneitra, situata nelle vicinanze del confine che separa la parte siriana delle Alture da quella occupata da Israele, è stata teatro di diversi scontri tra l’Esercito regolare di Assad e il loro fondamentale alleato libanese, da un lato e i ribelli siriani, tra cui diversi membri di Jabhat al-Nusra, dall’altro. Inoltre, dall’inizio della guerra civile, l’aviazione israeliana ha effettuato diverse incursioni in territorio siriano, in particolare nella zona di Damasco e Dimas, situata a pochi chilometri dal confine col Libano. Incursioni mirate all’eliminazione di rifornimenti di armi, in particolare missili FATEH-110 e razzi a lunga gittata, destinati ad Hezbollah, stando alle dichiarazioni di Tel Aviv. Più volte il leader di Hezbollah, Nasrallah, aveva minacciato una ritorsione contro Israele a causa dei ripetuti attacchi in Siria, minacce che si sono concretizzate con il raid del 28 gennaio. La prima risposta dell’Esercito israeliano è stata una raffica di circa 30 colpi di artiglieria contro obiettivi situati nella zona da cui sarebbe partito l’attacco, in particolare i villaggi di Majidiyeh, Abbasiyeh e Kfar Chouba. Dal tardo pomeriggio del 28 gennaio, inoltre, sono stati avvistati diversi caccia e droni da ricognizione SKYLARK-1 sui cieli del Libano meridionale, mentre alcune batterie del sistema di difesa anti-missile IRON DOME erano già state schierate al confine settentrionale il 20 gennaio, in seguito all’operazione sul Golan. Ad esse, in queste ore si sarebbero aggiunte diverse unità di fanteria ed alcune decine di carri armati.
Per quanto riguarda UNIFIL, già in seguito all’attacco israeliano erano stati intensificati i pattugliamenti della missione, guidata dal contingente italiano sotto il comando del Gen. Portolano, sugli 80 km di confine tra Libano e Israele, la cosiddetta “Blue Line”. Va da sé che, alla luce degli ultimi sviluppi, il contingente è in stato di massima allerta. Inoltre, la missione è impegnata in una delicata indagine volta a stabilire le dinamiche della morte del soldato spagnolo, avvenuta nei pressi del villaggio di Ghajar, probabilmente a causa del fuoco d’artiglieria israeliano. Infine, nelle ultime ore la missione UNIFIL è stata destinataria di una comunicazione da parte di Hezbollah, nella quale il gruppo conferma la volontà di evitare una escalation di violenze. Pur trattandosi dello scontro a fuoco più grave dai 34 giorni di guerra del 2006, infatti, è probabile che Hezbollah voglia evitare un scontro di dimensioni simili, in primis perché non dispone delle risorse che aveva in quel periodo. Inoltre, non va dimenticato che Hezbollah è impegnata in prima linea e su più fronti nel teatro siriano, sia contro i ribelli anti-Assad, che contro ISIL. Israele, tuttavia, potrebbe essere di diverso avviso e utilizzare questo attacco come scusa per un inasprimento dello scontro, fuori dalla scia della politica/strategia della “proporzionalità”, che implica una volontà di causare danni o vittime in numero proporzionale a quelle inflitte dall’avversario. C’è da dire, però, che le imminenti elezioni, previste il 17 marzo, dovrebbero scoraggiare un’azione militare prolungata, che potrebbe costare la vittoria al premier Netanyahu.